I sostenitori ammettono che il taser, come qualsiasi arma o strumento di coercizione fisica, comporta dei rischi, ma ritengono che tali rischi siano molto contenuti e gestibili tramite un uso appropriato, regolato da protocolli rigidi e da un addestramento accurato. In Italia l’impiego del taser è inquadrato da precise Linee guida ministeriali emanate nel 2018, che insistono sul carattere di ultima risorsa e sulle cautele operative da adottare. Ogni operatore che porta il taser ha seguito un apposito corso di formazione, al termine del quale è abilitato all’uso dell’arma nel rispetto di tre principi fondamentali: necessità, proporzionalità e adeguatezza. Questo significa che il taser va utilizzato solo se strettamente necessario (quando altre tecniche di minor impatto non sarebbero efficaci), in modo proporzionato alla minaccia (ad esempio contro un soggetto realmente pericoloso e non su chiunque) e con adeguate precauzioni legate al contesto e alle condizioni della persona. Le procedure italiane impongono all’operatore una sequenza graduale: prima dichiarare al soggetto di avere un taser e mostrarlo bene in vista; poi eventualmente effettuare un “warning arc” (scarica a vuoto tra gli elettrodi che produce crepitio e luce, senza colpire) per intimidire; solo se ciò non sortisce effetto procedere a sparare i dardi. Inoltre, l’operatore deve – per quanto possibile – valutare l’ambiente (es. evitare di usare il taser se il soggetto è su un albero o in acqua, per il rischio caduta o shock) e individuare eventuali segnali di vulnerabilità (una donna incinta, una persona anziana o disabile) da non colpire se non in situazioni estreme. Una volta immobilizzato il soggetto, i protocolli prevedono di richiedere sempre assistenza medica immediata, a prescindere dallo stato apparente della persona, così da garantire un controllo sanitario (per esempio, verifica del ritmo cardiaco). Queste linee guida, approvate anche dal Ministero della Salute, dimostrano che l’uso del taser è attentamente normato per mitigare i potenziali effetti collaterali. Sul piano empirico, i pro-taser citano dati rassicuranti: uno studio condotto nel 2010 sugli esiti del taser indicava che nel 99,7% dei casi il suo impiego non causa danni gravi, mentre solo nello 0,3% dei casi la persona necessita di trattamenti medici (comunque non letali). Ciò suggerisce un livello di sicurezza elevatissimo se l’arma è usata correttamente. Anche le statistiche più recenti del Dipartimento di Pubblica Sicurezza confermano che i casi di malore successivi all’uso del taser sono rarissimi a fronte di centinaia di interventi effettuati (oltre 1.100 utilizzi tra 2022 e 2023 senza decessi direttamente attribuiti alla scarica). I sostenitori riconoscono che in circostanze particolari – ad esempio soggetti con gravi patologie cardiache nascoste – il rischio zero non esiste, ma sottolineano come lo stesso valga per tutti i metodi coercitivi: anche uno spray al peperoncino può causare insufficienza respiratoria in un asmatico, anche una colluttazione a mani nude può portare a traumi letali se la persona cade male. Il taser, dal canto suo, è progettato con accorgimenti di sicurezza: ad esempio le scariche standard durano al massimo 5 secondi per limitare lo stress sul corpo; l’arma italiana (Axon X2) ha un amperaggio relativamente basso e viene calibrata secondo le indicazioni del Ministero della Salute. L’azienda produttrice insiste che non vi sono evidenze scientifiche di un nesso diretto tra taser e arresti cardiaci fatali, e che anzi l’evoluzione tecnologica (ultimo modello Taser 10) punta a rendere il dispositivo sempre più preciso ed affidabile così da ridurre ancor di più qualsiasi conseguenza indesiderata. Gli operatori di polizia italiani, evidenziano i favorevoli, sono addestrati a rispettare le procedure e a non abusare dello strumento. I fatti di cronaca più controversi vengono letti in quest’ottica: ad Olbia e Genova (2025), ad esempio, i militari hanno seguito l’iter previsto (hanno tentato di far desistere i soggetti, poi hanno usato il taser di fronte a comportamenti altamente pericolosi) e purtroppo si sono verificati decessi – ma l’inchiesta di Olbia ha accertato che la morte non è dipesa dalla scarica elettrica bensì da un infarto causato da un insieme di fattori pregressi (cardiopatia, droga, stato di agitazione). Ciò, secondo alcuni, dimostra che demonizzare il taser è scorretto: si rischia di attribuire allo strumento colpe che non ha, quando invece la tragica combinazione di condizioni della vittima (eccitazione delirante, fragilità fisica) avrebbe potuto portare a esito fatale anche con metodi diversi. La presenza di un medico subito dopo l’uso – come impongono le regole – serve proprio a scongiurare questo tipo di eventi, consentendo un intervento rianimatorio tempestivo, se necessario. In definitiva, i favorevoli sostengono che seguendo attentamente protocolli e addestramento, il taser può essere impiegato in modo molto sicuro: i casi di incidenti gravi sono estremamente rari (nell’ordine di frazioni di punto percentuale) e statisticamente analoghi o inferiori ai rischi legati ad altri strumenti di coercizione in dotazione. Pertanto, a fronte dei benefici in termini di vite salvate e feriti evitati, i vantaggi superano di gran lunga i rischi residuali. L’appello dei pro-taser è di non lasciarsi guidare dall’emozione di fronte a eventi isolati ma di valutare i dati nel complesso, mantenendo equilibrio: come scrive Letizia, bisogna riconoscere i limiti del taser senza negarne i rischi, ma anche senza ipocrisie – ricordando che ogni scelta in operazioni di polizia comporta un margine di pericolo e il taser, numeri alla mano, lo riduce anziché ampliarlo.
Nina Celli, 23 settembre 2025