I critici contestano l’etichetta rassicurante di “arma non letale”. Sostengono che il taser possa uccidere o causare danni gravissimi, infliggendo al contempo un dolore intenso assimilabile a tortura. Sin dall’introduzione dei primi modelli, organizzazioni come Amnesty International hanno documentato centinaia di decessi collegati all’uso di taser nel mondo. In un suo rapporto, Amnesty segnalava oltre 500 morti negli Stati Uniti tra il 2001 e il 2012 in episodi dove erano state utilizzate pistole elettriche. Un’inchiesta dell’agenzia “Reuters” ha poi alzato il bilancio ad oltre 1.000 morti dal 2000 al 2018 negli USA. Dati allarmanti emergono anche da altre ricerche: la quasi totalità delle persone decedute dopo essere state colpite dal taser risultavano disarmate, e circa una su quattro soffriva di disturbi mentali o neurologici – spesso dunque soggetti in stato di vulnerabilità. Queste cifre smentiscono l’idea che il taser sia innocuo: di fatto, in diverse circostanze si è rivelato mortale. Il meccanismo principale di pericolo è l’innesco di aritmie cardiache: la scarica da 50.000 volt, seppur di breve durata, può interferire con l’elettricità del cuore. Esperti cardiologi avvertono che persino su soggetti sani un taser può causare fibrillazione ventricolare (aritmia letale); su individui con patologie cardiache latenti il rischio di arresto risulta notevolmente maggiore. Inoltre, la ripetizione delle scariche – in alcuni casi le forze dell’ordine hanno premuto il grilletto più volte sullo stesso bersaglio – amplifica lo stress fisico: respirazione compromessa, acidosi metabolica e altre reazioni possono portare al collasso organico. Un esempio italiano fu la morte di Riccardo Magherini (Firenze 2014): sebbene lì non fosse coinvolto un taser ma uno spray e una colluttazione, la condizione di “excited delirium” (delirio da sostanze) lo rese ipersensibile a qualsiasi intervento coercitivo. I detrattori temono che il taser, in situazioni analoghe, possa essere il colpo finale su un organismo già allo stremo. La recente tragedia di Simone Di Gregorio a Chieti (agosto 2023) – paziente psichiatrico 35enne morto dopo che la polizia lo bloccò con taser perché in escandescenze – viene citata come caso emblematico di come la combinazione di fattori (agitazione estrema e scossa elettrica) abbia esiti fatali. Sul piano delle sofferenze inflitte, numerose testimonianze di sopravvissuti descrivono il taser come uno strumento che provoca dolore lancinante. Irene Testa riferisce di persone che dopo il fermo con taser hanno avuto convulsioni, perdita di controllo di sfinteri (feci e urine), svenimenti. Gli effetti sono tanto traumatici che il Comitato ONU contro la tortura già nel 2007 definì il modello Taser X26 “uno strumento di tortura” in quanto causa un dolore acuto esorbitante rispetto agli scopi di ordine pubblico. L’ONU giudicò l’uso di queste armi una violazione della Convenzione contro la tortura, posizione ribadita anche dal Parlamento Europeo in alcune risoluzioni (non vincolanti) che ne sconsigliavano l’adozione. I critici concordano: se un dispositivo provoca un dolore così forte e può portare alla morte, rientra in una zona grigia eticamente inaccettabile. Viene ricordato come persino il Garante nazionale dei detenuti, in Italia, avesse avvertito che la definizione “non letale” è fuorviante e che il taser comporta “oltre alla perdita di controllo muscolare, un dolore acuto”, con possibili traumi da caduta e “nei casi più gravi, la morte per arresto cardiaco”. Queste parole, scritte in un rapporto ufficiale, confermano che anche nel nostro ordinamento c’è consapevolezza del potenziale letale dello strumento. Dal punto di vista scientifico, i detrattori segnalano che molte ricerche sulla sicurezza del taser sono state finanziate o influenzate dai produttori e testate su volontari sani (spesso agenti di polizia stessi durante l’addestramento). Tali studi sottovalutano gli effetti su popolazioni fragili (malati cronici, persone sotto sostanze ecc.) che invece nella realtà sono frequentemente coinvolte. Il cardiologo Angelo Beltrami (volontario Naga) nota che la maggior parte degli studi sui rischi del taser si è fatta su giovani sani, non rispecchiando i casi reali d’uso. Il collega Massimo Romano aggiunge che un cardiopatico è molto più a rischio e che l’Europa conta centinaia di migliaia di cardiopatici congeniti – non certo un fenomeno raro nella popolazione. Un documento del Consiglio d’Europa (CPT) già nel 2010 raccomandava agli Stati di astenersi dall’utilizzo di taser su categorie vulnerabili (anziani, donne incinte, soggetti con problemi cardiaci) proprio per la mancanza di studi approfonditi sugli effetti su di essi. Eppure, notano i critici, queste raccomandazioni spesso non vengono seguite in situazione concitate. In definitiva, chiamare il taser “meno letale” non significa affatto “non pericoloso”. Al contrario, può uccidere – e lo ha già fatto – così come provoca un dolore severo che almeno in certi contesti appare sproporzionato (ad esempio su persone con disturbi mentali in crisi). Per questo motivo si chiede estrema cautela o addirittura la sospensione: finché non si riuscirà a garantire che un taser non mandi in arresto cardiaco un 30enne agitato o un 50enne con la fibrillazione, i critici affermano che il suo utilizzo non dovrebbe essere consentito o quanto meno vada limitato al massimo.
Nina Celli, 23 settembre 2025