Molti osservatori hanno interpretato Eastern Sentry (Sentinella dell’est) come il ritorno a una divisione militare dell’Europa. “HuffPost Italia” ha parlato apertamente di “nuova cortina di ferro”, mentre “Panorama” descrive la missione come ricreazione di una barriera armata “dal Mare del Nord al Mar Nero”. L’operazione non ha scadenze e, per Barlocchetti (“Panorama”), durerà “finché non cambieranno i vertici a Mosca o Kiev”. Di fatto, si prepara a essere un dispositivo permanente. Il linguaggio utilizzato non è neutro: “Sentinella” richiama il presidio ai confini, come durante la Guerra Fredda. Crosetto ha ammesso che l’Italia non è pronta a difendersi da missili e droni (“Repubblica”), alimentando la percezione di una corsa al riarmo. Per i critici, Eastern Sentry sancisce un cambiamento culturale e politico: dall’illusione di un continente pacificato si passa alla ricostituzione di un confine armato che separa l’Occidente dalla Russia. La retorica del Cremlino trova in questo contesto un facile appiglio. Putin e Peskov possono raccontare al pubblico russo che l’Occidente “ha ricreato la cortina di ferro”, giustificando così nuove misure militari e nazionalistiche. Nel frattempo, in Europa, l’effetto sarà quello di una crescente militarizzazione, con nuove spese e minore cooperazione su altri fronti. La missione diventa così un simbolo: un’Europa tornata a dividersi in blocchi. Per i detrattori, Eastern Sentry non risolve la crisi ucraina ma consolida una contrapposizione strutturale che ricorda il passato. La missione non è solo una misura difensiva: rappresenta il ritorno della logica dei blocchi, un arretramento storico che rischia di cristallizzare lo scontro con la Russia per decenni.
Nina Celli, 19 settembre 2025