Per i sostenitori di Sentinella dell’Est, la missione rappresenta l’unica scelta logica di fronte a una provocazione che non poteva restare senza risposta. La violazione dello spazio aereo polacco con 19 droni russi (“Reuters”) non è stata un episodio marginale: secondo il commissario europeo Andrius Kubilius era un vero e proprio “test delle capacità NATO ed europee” (“Vatican News”). Se l’Alleanza non avesse reagito, Mosca avrebbe percepito la mancata risposta come un segnale di debolezza, incoraggiandosi a intensificare le incursioni. Il premier britannico Keir Starmer ha sottolineato che i Typhoon inviati dal Regno Unito non rappresentano una dimostrazione di forza, ma strumenti “essenziali per scoraggiare aggressioni e proteggere lo spazio aereo” (“ANSA”). Questo chiarisce il punto di vista dei difensori della missione: non si tratta di provocare la Russia, bensì di rassicurare le popolazioni alleate e ridurre le probabilità di ulteriori violazioni. In termini di legittimità, l’attivazione dell’Articolo 4 del Trattato NATO da parte della Polonia ha reso doveroso il coinvolgimento collettivo. L’Alleanza, secondo la sua stessa natura difensiva, ha risposto in modo proporzionato. Kosiniak-Kamysz, vicepremier polacco, ha dichiarato che “i 32 Paesi dell’Alleanza difenderanno ogni centimetro del loro territorio: un attacco a uno è un attacco a tutti” (“il Giornale”). La storia dimostra che in momenti di crisi simili la deterrenza è stata spesso l’unica via per mantenere la pace. Durante la Guerra Fredda, l’Occidente non evitò la guerra restando passivo, ma rispondendo con fermezza a ogni provocazione sovietica. Anche in questo caso, i sostenitori ritengono che rafforzare la postura difensiva sia l’unico modo per evitare che la Russia metta davvero alla prova l’Articolo 5. Per i sostenitori della missione Sentinella dell’Est, l’operazione non è un’escalation ma garanzia di stabilità: senza una risposta ferma, il rischio di guerra sarebbe stato maggiore.
Nina Celli, 19 settembre 2025