Un’ulteriore linea argomentativa dei contrari sostiene che l’eugenetica moderna sia in realtà inutile e fuorviante, perché i suoi presunti benefici possono essere ottenuti con mezzi meno controversi e cercare di perseguirla distoglie risorse ed energie da soluzioni più concrete e inclusive. Questa tesi afferma che non abbiamo davvero bisogno di manipolare la genetica umana per migliorare la salute o il benessere; esistono già strumenti e politiche efficaci senza gli enormi rischi etici e sociali che l’eugenetica comporta. Per evitare la nascita di bambini con malattie ereditarie gravi non serve l’editing embrionale. La diagnosi genetica preimpianto (PGD), utilizzata da decenni, consente di selezionare un embrione sano (privo della mutazione) da impiantare con la fecondazione in vitro, quando i genitori sono portatori di una malattia monogenica. Questa tecnica, pur con limiti e costi, ha già prevenuto la nascita di migliaia di bimbi affetti da patologie letali o invalidanti, senza alterare geneticamente nulla. Dunque, l’HGE (Human Germline Editing) è in gran parte superfluo per scopi medici: se una coppia ha embrioni tutti portatori di malattia (caso rarissimo), può ricorrere a donazione di gameti; oppure si può espandere la ricerca sulle terapie geniche somatiche per curare la malattia dopo la nascita. In altre parole, “dov’è la necessità stringente?”. David King, come citato prima, afferma che “non c’è un bisogno medico insoddisfatto che richieda l’editing ereditario”, poiché PGD, adozione, donazione e terapie somatiche coprono già il campo. Anche la rivista “Nature” nel 2019 pubblicò una lettera di scienziati cinesi ricordando che “l’editing embrionale non offre benefici rispetto al PGD per evitare malattie genetiche, e comporta rischi aggiuntivi”. Per migliorare la salute pubblica e le capacità umane ci sono vie socio-ambientali assai più efficaci e giuste. Ad esempio, se l’obiettivo è avere meno persone con predisposizione al diabete, invece di cercare di eliminarle geneticamente, si può investire in nutrizione, attività fisica diffusa, educazione sanitaria. Se l’obiettivo è “avere più geni dell’intelligenza”, molto più immediato e sicuro è migliorare le scuole, l’accesso alla cultura, la lotta alla povertà educativa. I critici osservano che l’ossessione genetica rischia di farci medicalizzare problemi sociali e di offrirci false scorciatoie tecnocratiche. Emily Merchant, nel suo saggio, sottolinea che l’eugenetica storicamente ha sempre offerto soluzioni sbagliate a problemi complessi (ad esempio, attribuiva la povertà a bassi geni e quindi sterilizzava i poveri, anziché combattere l’ingiustizia sociale). Oggi succederebbe lo stesso: invece di garantire inclusione e supporto a disabili o malati, si investirebbe per farli scomparire, ignorando le radici ambientali di molte questioni. Un documento del Center for Genetics and Society afferma che promuovere l’editing ereditario “rafforza le convinzioni eugenetiche secondo cui i nostri problemi siano biologici, distogliendo dall’affrontare le cause sociali”. Per i critici, ogni euro speso nel rincorrere il “bambino perfetto” potrebbe essere meglio speso nel migliorare le cure per i bambini imperfetti che già nascono. Ad esempio, la sindrome di Down non si “cura” col gene editing, ma con terapie abilitative e inclusione scolastica: la spinta eugenetica a eliminare i Down ha fatto sì che scarsi fondi siano destinati alla ricerca di cure per migliorare la vita di chi c’è. Si sostiene che sarebbe meglio investire per sconfiggere l’Alzheimer o il cancro negli adulti, anziché per evitare ogni nascituro predisposto. Data la limitatezza di risorse, l’eugenetica è un impiego inefficiente e moralmente dubbio di risorse scientifiche. L’OMS stessa, pur emanando linee guida sull’editing, afferma che “il pieno impatto [positivo] si realizzerà solo se lo impieghiamo a beneficio di tutti, invece di alimentare inequità di salute”. Quindi reputa prioritario l’uso equitable e orientato a bisogni reali di salute, non a fantasie di miglioramento. I contro evidenziano che la natura spesso presenta compensazioni ed eccezioni. Molte persone con quella che la genetica definirebbe predisposizione a X, non svilupperanno mai X e avranno vite lunghe e felici, grazie a fattori ambientali o casuali. Altre senza predisposizioni incorreranno in sfortune. La vita è più del genoma, insomma, e investire troppo su quest’ultimo rischia di distrarci da interventi più olistici (ad esempio, la prevenzione ambientale delle malattie). Un editoriale su “Chemistry World” fa notare come slogan tipo “fermiamo le malattie genetiche” ignorino che la maggior parte dei problemi sanitari globali – malnutrizione, infezioni, malattie croniche legate a stili di vita – non si risolveranno con CRISPR ma con politiche economiche e di istruzione. C’è, inoltre, l’argomento dell’accettazione della condizione umana: i critici affermano che cercare di eliminare ogni rischio e imperfezione genetica è non solo illusorio, ma potenzialmente dannoso per la resilienza e la diversità della specie. Molte invenzioni, arti e progressi sono nati da persone con caratteristiche “difformi” (si pensi ad alcuni autori autistici, a geni creativi con disturbi bipolari ecc.). Uniformare e normalizzare geneticamente potrebbe privarci di contributi unici. Come scrive la storica Alison Bashford, “l’eugenetica riduce la variabilità e con ciò la capacità di adattamento e sorpresa della nostra specie”. Dunque, invece di ricorrere all’eugenetica, dovremmo forse lavorare su come convivere con le differenze e le fragilità – attraverso supporto medico, tecnologico ed empatico – senza eliminarle alla radice. Questo approccio “sociale” vede l’eugenetica come soluzione sbagliata a problemi affrontabili in modo più umano e saggio. Dunque, perché rischiare di aprire il vaso di Pandora eugenetico quando possiamo ottenere ugualmente una società più sana e giusta con strumenti etici convenzionali? L’eugenetica appare come un rimedio sproporzionato, che crea problemi peggiori di quelli che risolve. L’evidenza storica aggiunge peso: dove si è cercato di applicare eugenetica (dalle sterilizzazioni di massa ai tentativi di clonazione), i risultati sono stati orrendi o nulli. D’altro canto, politiche di sanità pubblica semplici (vaccinazioni, igiene, alimentazione) hanno allungato enormemente la vita media senza toccare i geni. Perché allora incaponirsi su quest’ultima frontiera? Il biologo Hank Greely di Stanford, citato dal “The Guardian”, mette in dubbio l’utilità dello screening poligenico chiedendo: “Se un test riduce il rischio di diabete dal 30% al 27%, vale la pena di investire tempo, soldi ed emozioni? E per chi?”, suggerendo che i benefici sono minuscoli rispetto allo sforzo. Stop Designer Babies insiste: “non c’è alcun bisogno medico insoddisfatto per l’HGM”, elencando alternative come PGD, adozione, terapie somatiche. E Alta Charo, sul “The Guardian”, afferma di non prevedere un uso diffuso dell’editing germinale neppure per prevenire malattie, perché “esistono quasi sempre alternative come screening IVF, adozione o gameti donati”. Anche i già menzionati Habermas e Sandel sottolineano che accettare i limiti e dare supporto sociale è preferibile a tentar di eliminarli biologicamente. In definitiva, l’eugenetica è una overkill solution, un rimedio eccessivo e moralmente costoso a problemi risolvibili altrimenti.
Nina Celli, 11 settembre 2025