Oltre alle considerazioni sociali ed etiche, gli oppositori dell’eugenetica moderna puntano l’attenzione sui rischi scientifici e sanitari connessi alla manipolazione del genoma ereditario. Questa tesi sostiene che intraprendere modifiche genetiche trasmissibili è prematuro e potenzialmente catastrofico, perché non comprendiamo ancora a fondo la complessità del DNA e delle sue interazioni. Intervenire su embrioni con tecnologie come CRISPR comporta la possibilità di errori irreversibili e conseguenze imprevedibili su individui e linea germinale. Innanzitutto, c’è la questione degli off-target: CRISPR-Cas9 funziona tagliando il DNA in punti specifici, ma può tagliare anche in posizioni non volute. Studi hanno mostrato che in embrioni umani CRISPR può causare grandi delezioni o riarrangiamenti cromosomici invisibili a un controllo superficiale. Ciò significa che un embrione apparentemente “corretto” potrebbe in realtà aver subito danni genomici che porterebbero magari a cancro o altre malattie anni dopo. Ad esempio, un articolo dell’Osservatorio Terapie Avanzate del 2020 riportava un esperimento in cui l’editing di embrioni per correggere una mutazione ha creato in alcuni casi la perdita di interi segmenti di cromosoma – un effetto collaterale gravissimo. Finché questi rischi non potranno essere totalmente esclusi, l’editing germinale espone i futuri nati a divenire essi stessi “pazienti geneticamente modificati” con problemi nuovi. Un altro limite è la conoscenza incompleta dei geni: i favorevoli parlano di eliminare un gene “malato” per prevenire la malattia, ma in realtà la funzione di molti geni è poliedrica. Togliere una variante che causa una malattia può avere altri effetti. Nel già citato esperimento del 2017 sulla cardiomiopatia ipertrofica, i ricercatori notarono con sorpresa che correggendo l’allele mutato il gene sano dell’altro genitore prendeva il sopravvento in modo inaspettato. Questo mostra che non sappiamo ancora come il genoma reagisce alle modifiche. Il timore è che “curando” un tratto se ne danneggi un altro. Ad esempio, alcuni geni che predispongono a malattie hanno anche effetti benefici (il classico è il gene della anemia falciforme che in eterozigosi protegge dalla malaria). Rutherford nota che “quegli studi sensazionalistici sul ‘gene di’ quasi mai hanno ragione: i tratti complessi sono dovuti a migliaia di varianti, e le varianti non determinano nulla da sole”. Se i proponenti dicono di aver “trovato il gene X” per un difetto e di volerlo editare, i critici rispondono che la genetica reale è più intricata – “non esistono geni buoni o cattivi isolati, ma reti”. Intervenire su queste reti potrebbe produrre “effetti farfalla” inattesi nel fenotipo. Persino abbassare del 10% il rischio di una patologia potrebbe aumentare il rischio di un’altra. Vi è poi un rischio evoluzionistico di lungo termine: alterare l’eredità umana in maniera deliberata infrange quel meccanismo di selezione naturale e casualità che, pur crudele a volte, ha bilanciato il pool genetico. Possibili modifiche potrebbero diffondersi nella popolazione con esiti incalcolabili. Ad esempio, se tutti decidessero di preferire embrioni con certe varianti (mettiamo, quelle correlate a un QI leggermente più alto), si ridurrebbe la diversità genetica su quell’aspetto, con possibili vulnerabilità emergenti (magari quelle varianti correlate al QI correlano negativamente con la fertilità o l’immunità a qualche patogeno ancora sconosciuto). Un gruppo di scienziati su “Nature” avvertiva già nel 2015 che “manipolare la linea germinale inciderà sul percorso evolutivo umano in modi difficili da prevedere”. Questo argomento pragmatico dice: non giochiamo all’apprendista stregone con l’evoluzione perché potremmo introdurre un errore che resterà per sempre. Pietro Greco sottolinea proprio che intervenire oggi su un embrione significa potenzialmente “riscrivere il DNA di tutta la sua prole a venire” e “se commetti un errore, quell’errore è per sempre per i suoi figli e i figli dei figli”. A differenza di un trattamento somatico, che riguarda solo un paziente e se va male finisce con lui, un errore germinale si propaga generazionalmente ed eliminarlo richiederebbe a sua volta generazioni di correzioni (sempre ammesso di accorgersene in tempo). Un altro aspetto è che finora la scienza medica ha un principio cardine: primum non nocere. Finché l’editing non è robustamente sicuro, applicarlo su embrioni destinati a nascere viola quel principio perché i “pazienti embrionali” non possono dare consenso e si assumono rischi al loro posto quando esistono metodi alternativi meno rischiosi (come la semplice selezione di un embrione sano tra più concepiti). Molti ricercatori e istituzioni – inclusa la commissione dell’International Summit 2023 – hanno affermato che “gli standard di sicurezza ed efficacia necessari non sono attualmente soddisfatti” e quindi l’editing ereditabile rimane inaccettabile al momento. Qualcuno spinge oltre, come David King (biologo e attivista di Stop Designer Babies), dicendo: “non c’è alcun bisogno medico insoddisfatto per l’HGM, quindi perché questo summit ne discute?” – evidenziando che per ogni malattia esistono alternative (PGD, adozione, ovodonazione o terapie somatiche). Quindi l’editing germinale esporrebbe a rischi non necessari. Gli oppositori fanno notare l’inganno delle aspettative: i fautori dell’eugenetica moderna spesso sovrastimano i benefici possibili. Si promettono “figli più intelligenti, più sani, perfetti”, ma come evidenzia Rutherford e la letteratura, “l’idea di poter rimodellare tratti complessi è politicamente pericolosa e fuorviante”. Ad esempio, la risonanza mediatica di cliniche che offrono screening per IQ appare quasi truffaldina, perché la scienza concorda che un polygenic score alto per intelligenza aumenta di poco la probabilità di punteggi scolastici migliori – tanto che, in media, scegliendo l’embrione col punteggio più alto tra 10 fratelli, la differenza attesa è forse di un paio di punti di QI. Ne vale la pena alterare il genoma per simili minuzie? Ciò che resta certo, invece, sono i rischi. Anche su tratti come la longevità o l’aspetto fisico, la genetica agisce in modi intricati e pleiotropici: come ammonisce Rutherford, “selezionare per centinaia di varianti di intelligenza potrebbe significare selezionare contro la fertilità o la gentilezza e nessuno lo sa”. Alla luce di tutto ciò, i critici concludono che procedere sulla via dell’eugenetica sarebbe “un salto nel buio sulla nostra evoluzione”. La prudenza impone di attendere certezze scientifiche e di forse rinunciare del tutto a modifiche ereditabili. Molti abbracciano il principio di precauzione: se qualcosa può recare danno irreversibile e non è indispensabile, meglio evitarlo. La storia della scienza è piena di esempi di innovazioni adottate con entusiasmo prima di comprenderne i danni (dall’amianto al DDT). Qui il potenziale danno investe il patrimonio genetico dell’umanità. La Commissione del 3° Summit 2023 ha affermato che “heritable human genome editing rimane inaccettabile in questo momento” e che i dibattiti pubblici e le policy dovrebbero decidere se e quando usarlo, ma intanto “gli standard di sicurezza ed efficacia non sono soddisfatti”. Pietro Greco ha rimarcato che “non sappiamo né se né quando potrà essere usato clinicamente; occorre assicurarsi che tutto vada davvero bene e ridurre quel 27,6% di insuccessi” prima di pensare a far nascere bambini editati. Le riviste “STAT” e “NEJM” hanno pubblicato articoli nel 2021 segnalando che i benefici dello screening embrionale poligenico sono molto piccoli e ancor minori per persone di ascendenze genetiche non europee (introducendo anche bias razziali). Infine, Rutherford nella sua intervista ha detto che “l’idea che possiamo rimodellare i tratti ereditari è tuttora fantasiosa e pericolosa”, invitando a concentrare risorse su soluzioni più sicure e giuste.
Nina Celli, 11 settembre 2025