Un’altra argomentazione contraria all’eugenetica moderna afferma che essa calpesta principi etici e giuridici fondamentali, minacciando di farci perdere la nostra umanità condivisa. Questa tesi mette al centro valori come la dignità intrinseca di ogni vita, l’uguale diritto di esistere di tutti gli esseri umani e il rifiuto morale di trasformare i figli in prodotti su misura. Sostiene che manipolare o selezionare la discendenza umana, oltre una certa soglia, costituisce un’offesa alla dignità, perché tratta il nascituro non come fine in sé, ma come mezzo per soddisfare criteri di perfezione stabiliti da altri. La Chiesa Cattolica e molte confessioni religiose incarnano questa obiezione etica. Come affermato da Papa Francesco, “‘ogni bambino è un dono’”, indipendentemente dalle sue condizioni di salute, e l’uso delle tecniche prenatali a fini selettivi è un atto profondamente disumano”. Parlava di “mentalità eugenetica” per definire quell’atteggiamento utilitaristico che vorrebbe sopprimere – o potremmo dire, “aggiustare” – vite che non corrispondono a certi standard. Dal punto di vista cattolico, la vita umana ha valore incondizionato dal concepimento. Scegliere chi nasce in base alla qualità genetica è moralmente equivalente a giudicare che alcuni esseri umani valgono meno di altri. Mons. Mauro Cozzoli, teologo morale, commentando un caso di aborto selettivo in Italia, affermò che il vero elemento inquietante non era l’errore tecnico (avevano eliminato il feto sano anziché quello con sindrome di Down), ma “la mentalità utilitaristica che lo ha originato: sopprimere vite che non rispondono alle attese”. Questa mentalità viene considerata un ritorno dell’eresia eugenetica: implica che la vita deve soddisfare un criterio di “perfezione” per essere benvenuta. In ambito laico, il concetto di dignità umana è consacrato in documenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta di Oviedo, che all’art. 1 afferma la primazia dell’essere umano sulle sole esigenze della società o della scienza. L’art. 13 della stessa convenzione (ratificata da molti Stati) proibisce interventi sul genoma ereditabile quando non siano a scopo diagnostico/terapeutico diretto, riflettendo proprio l’esigenza di evitare manipolazioni che possano alterare l’identità di un individuo e dei suoi discendenti. I critici osservano che l’eugenetica liberale per enhancement – e in parte anche quella “terapeutica” – viola questo principio, perché cerca di adattare l’essere umano a un modello ideale (per quanto definito dai genitori e non dallo Stato). Jürgen Habermas, ad esempio, nel suo saggio Il futuro della natura umana, sostiene che l’editing genetico dei nascituri lede l’autonomia futura di quegli individui: li priva in qualche misura dell’apertura indeterminata della vita, perché qualcuno ha deciso in anticipo come dovrebbero essere. Questa è una ferita alla dignità e alla libertà costitutiva dell’essere umano, che dovrebbe poter dire di sé di non essere “fabbricato” da altri. La tesi enfatizza anche il fattore storico e simbolico: dopo l’orrore dell’eugenetica nazista, l’umanità ha tracciato linee rosse etiche molto chiare, dichiarando che “mai più” si sarebbe permesso di selezionare vite su basi biologiche. I trattati internazionali, come ricordato da Pavone, riflettono questa memoria. E proprio perché l’editing genetico rende possibile ciò che prima era fantascienza, la comunità globale ha reagito chiedendo almeno una moratoria (nel 2019 oltre 30 scienziati di fama, tra cui Doudna, Lancet e altri, chiesero una sospensione temporanea di qualsiasi sperimentazione clinica di editing germinale). La ragione non è solo la sicurezza, ma “la consapevolezza che dietro l’angolo c’è il rischio di rivivere un incubo morale”. Eric Juengst argomenta che la “lunga ombra dell’Olocausto” incombe su queste discussioni, perché in fondo l’aspirazione di “prevenire malattie” può rapidamente scivolare nella volontà di “migliorare” l’umanità secondo pregiudizi di valore – esattamente ciò che fecero gli eugenisti, partendo dall’idea di migliorare la salute pubblica. I confini tra cura e potenziamento possono sembrare chiari a tavolino (curare la talassemia vs aumentare il QI), ma in pratica c’è ambiguità: prevenire una predisposizione all’obesità è cura o “miglioramento” estetico? E aumentare la resistenza immunitaria (un enhancement) potrebbe essere spacciato per prevenzione. Juengst nota infatti che molti rapporti oggi considerano etico l’editing per prevenzione di malattie, ma che “prevenzione può significare 3 cose diverse che spesso si confondono” (prevenzione fenotipica, prevenzione genotipica e “rafforzamento preventivo”. La terza accezione è enhancement puro e rischia di scivolare nel primo concetto senza che ce ne accorgiamo, normalizzando ciò che volevamo evitare. I critici affermano dunque che accettare l’eugenetica moderna minerebbe i fondamenti morali su cui abbiamo ricostruito le società post-belliche: l’eguaglianza fondamentale e la non strumentalizzazione della persona. Con toni accorati, diversi accademici e attivisti gridano di non ripetere l’errore di pensare di poter “giocare a Dio” senza conseguenze. Vandana Shiva, ambientalista e filosofa indiana, ha dichiarato in un webinar del 2021: “C’è il tentativo di far dimenticare alla gente l’eugenetica… per questo il vostro lavoro [Stop Designer Babies] è così importante. Perché se dimentichiamo, la rifaremo”. Questa frase incarna il timore che, togliendo lo stigma alla parola eugenetica perché ora la chiamiamo “scienza genetica”, finiamo per togliere freni morali vitali. Un altro concetto chiave è la difesa di ciò che ci rende umani nella nostra variabilità e imperfezione. Il filosofo Michael Sandel, nel libro Contro la perfezione, ha sostenuto che rinunciare all’accettazione del dato naturale – accettare, cioè, i figli come dono, non come progetto – può portare a una società fredda dove tutto è performance e controllo e non c’è spazio per la gratitudine verso la vita come viene. L’eccesso di controllo biotecnologico può generare “genitori tiranni della genitorialità” e figli sotto pressione di essere all’altezza di un design. In altre parole, c’è un valore etico nel lasciare margini all’imprevedibilità della procreazione, al non-optimal. Questa visione, quindi, lancia un monito: l’eugenetica moderna scivola su una china scivolosa (slippery slope) per cui, iniziando magari con le migliori intenzioni (curare malattie), si finisce per mercificare la vita umana, distruggendo quei tabù che invece ci proteggono dall’arbitrio. Un segnale è il linguaggio economico che già appare: riviste come “The Economist” o “MIT Tech Review” parlano di “designer baby market”, con tanto di prezzi (50k $ per screening IQ). In un mondo del genere, i valori di solidarietà, accoglienza del debole, rispetto del mistero della vita rischiano di cedere il passo a un homo economicus genetico: “investo tot per figlio potenziato sperando nel rendimento”; “scarto l’embrione ‘difettoso’ come un prodotto”. Tutto ciò, secondo i contrari, è etnicamente ripugnante e va rigettato per fedeltà alla nostra storia e ai nostri principi costituzionali. Le affermazioni di Papa Francesco esprimono esattamente questa linea etica: “l’utilizzo della diagnosi prenatale per fini selettivi va scoraggiato con forza, perché espressione di una disumana mentalità eugenetica”. Quando dice: “l’aborto non è mai la risposta, [questa mentalità] sottrae alle famiglie la possibilità di amare i loro bambini più deboli”, trasmette il principio che ogni vita, anche fragile, ha dignità e senso. Sopprimerla per standard di qualità è disumano. Similmente, il Manifesto di Oviedo (1997) che vieta la selezione a scopo eugenetico riflette la risposta giuridica basata su diritti fondamentali. Autorevoli bioeticisti come Jürgen Habermas e Michael Sandel hanno scritto opere chiave contro l’eugenetica, sottolineando il concetto di “dono dell’indisponibilità” del patrimonio genetico per preservare la libertà e l’uguaglianza.
Nina Celli, 11 settembre 2025