I favorevoli pongono enfasi sulla libertà individuale e sul pluralismo dei valori in ambito riproduttivo. Secondo questa tesi, decidere “come” far nascere i propri figli – inclusa la facoltà di scegliere embrioni con certe caratteristiche genetiche o di modificarli per il loro bene – rientra nella sfera di autonomia che genitori e famiglie dovrebbero avere in una società libera. L’argomento centrale è: “chi può stabilire dall’esterno quali motivi di avere un figlio sano o “migliore” siano validi o no?”. Se una coppia, in coscienza, desidera fare tutto il possibile per garantire al nascituro la vita migliore, la legge non dovrebbe impedirglielo a priori. Questa visione viene spesso definita “eugenetica liberale” o “liberal eugenics”, concetto introdotto da filosofi come Nicholas Agar e ampliato da altri bioeticisti. L’idea è che, rimossa la coercizione statale, la pratica di migliorare geneticamente la prole su base volontaria non abbia l’ombra morale dell’eugenetica storica. Si tratterebbe, per citare l’evoluzionista Diana Fleischman, di “dare ai genitori la scelta sui tratti che più valorizzano”. Fleischman, nella sua intervista su “Reason”, sostiene che consentire la selezione embrionale per capacità cognitive o resistenza a malattie aumenta la libertà: alcune famiglie potrebbero farlo, altre no, secondo i propri valori, e questo è compatibile con una società pluralista. Ad esempio, una coppia molto propensa alle arti potrebbe voler selezionare l’embrione con predisposizione musicale; un’altra coppia con storie familiari di depressione potrebbe sceglierne uno con punteggio genetico di minor rischio psichiatrico. Queste scelte, in sé, non nuocciono a terzi e riflettono preferenze legittime, analoghe a quelle che i genitori già esprimono nell’educazione (c’è chi iscrive i figli a scuola di musica per svilupparne il talento, chi li incoraggia nello sport per migliorarne salute e disciplina). La genetica riproduttiva diverrebbe un ulteriore strumento a disposizione delle famiglie per plasmare, nel limite del possibile, il futuro dei propri figli secondo il loro concetto di bene. I sostenitori di tale teoria fanno anche notare che già oggi esistono forme di selezione accettate: per esempio, in molti paesi è permesso scegliere il sesso del bambino tramite PGD per bilanciare la composizione familiare, o selezionare un embrione immunocompatibile per curare un fratellino malato (i cosiddetti “saviour siblings”). Nonostante inizialmente sollevassero dubbi morali, queste pratiche sono state integrate nella bioetica mainstream in quanto espressione di scelte parentali comprensibili e non arbitrarie. Analogamente, i sostenitori chiedono: perché disapprovare tanto l’idea di scegliere un embrione con QI potenzialmente più alto o con minore rischio di cancro, se tale scelta nasce dall’amore genitoriale e dal desiderio di dare un vantaggio al figlio? “In fondo, tutti i genitori cercano di fare il meglio per i propri figli. La differenza è che ora la scienza offre strumenti più potenti per farlo”, argomentano. Questa lettura insiste sul concetto di responsabilità genitoriale positiva: avere un figlio implica l’obbligo morale di garantirgli le migliori condizioni possibili. Il filosofo Julian Savulescu ha formulato il principio della “procreative beneficence”, secondo cui i genitori dovrebbero scegliere, tra i possibili figli che potrebbero avere, quello con le prospettive di vita migliori (in termini di salute, abilità ecc.), se ne hanno la possibilità tecnologica. Non farlo, secondo questa visione, sarebbe come “rinunciare volontariamente a prevenire un male”. Savulescu e colleghi sostengono che, lungi dall’essere un capriccio, selezionare geneticamente il proprio figlio migliore è un atto di responsabilità etica verso di lui. Anche sul piano dei diritti, alcuni giuristi liberali iniziano a parlare di un potenziale “diritto alla scelta genetica” nel quadro più ampio dei diritti riproduttivi. Analogamente a come difendiamo il diritto di procreare o di non procreare, in futuro potrebbe essere riconosciuto il diritto di plasmare geneticamente la propria prole in certe misure, se ciò rientra nelle convinzioni e nei progetti di vita dei genitori. Un esempio pratico a supporto: molte persone portatrici di malattie ereditarie letali (come la Corea di Huntington) attualmente rinunciano ad avere figli naturali o affrontano gravidanze con forte angoscia. La possibilità di correggere l’embrione o selezionarne uno sano darebbe a queste persone la libertà di formare famiglie senza la spada di Damocle genetica. Dunque, la genetica riproduttiva amplierebbe anche la platea di chi può avere figli senza timori, realizzando in pieno il diritto alla genitorialità. Questa tesi vede come arbitro legittimo il consenso informato dei genitori e il libero mercato regolamentato. Se una tecnologia è sicura e disponibile, spetterà alle famiglie decidere se usarla in base ai propri valori. Gli autori libertari criticano il paternalismo statale o bioetico che, in nome di astratti rischi sociali, vorrebbe negare a tutti uno strumento potenzialmente benefico. Portano ad esempio il caso della sentenza dell’Alabama del 2021 (che equiparava gli embrioni congelati a minori, minacciando la legalità dell’IVF), poi neutralizzata da leggi statali, è citata come “intromissione illiberale” nella vita privata e come monito di ciò che avviene quando “la politica impedisce la tecnologia sanitaria”. Al contrario, esponenti di area radicale come l’Associazione Luca Coscioni in Italia invitano a non strumentalizzare i casi controversi per limitare la legge 194 o la fecondazione assistita, difendendo la libertà di scelta delle donne anche di fronte al tema dell’aborto selettivo. Sul piano sociale più ampio, i favorevoli affermano che una graduale adozione dell’eugenetica liberale potrebbe portare benefici condivisi: se più bambini nascono sani e dotati, la società nel suo insieme ne trae vantaggio (meno oneri sanitari, più innovatori ecc.). Sam Altman, CEO di OpenAI e investitore in un’azienda di screening embrionale, vede questa come una risposta al timore del “declino della civiltà”: se la natalità cala, almeno assicuriamoci che i nati abbiano quante più chance di prosperare. Alcuni arrivano a dire che non applicare queste migliorie sarebbe antimeritocratico verso i figli, quasi un atto di negligenza. Una citazione emblematica è quella del prof. Stephen Hsu: “I potenziali benefici per la salute pubblica sono enormi”, con riferimento allo screening poligenico esteso, suggerendo che prevenire predisposizioni a cancro, diabete e altre malattie mediante scelta embrionale potrebbe innalzare il benessere di intere generazioni. Le posizioni pro-libertà genetica, dunque, pongono al centro l’autonomia decisionale e la fiducia nel fatto che individui razionali faranno scelte nel miglior interesse delle loro famiglie. Non ignorano i rischi di abuso, ma li considerano gestibili tramite linee guida e consenso, piuttosto che con divieti rigidi. Nei forum pubblici, i fautori talvolta adottano toni provocatori per sfidare il tabù: “siamo tutti eugenetisti” afferma Fleischman, intendendo che tutti vorremmo naturalmente figli sani e bravi. La tecnologia semplicemente ci aiuta in ciò. L’importante, aggiunge, è abbracciare consapevolmente questa possibilità e guidarla con etica, invece di demonizzarla e lasciare che agisca clandestinamente. Nell’intervista su “Reason”, Fleischman ribadisce di essere “pro-IVF come modo per i genitori di selezionare tratti genetici desiderabili”, segno di un atteggiamento positivo verso l’enhancement riproduttivo. Il sociologo Malcolm Collins, citato nel saggio di Emily R. Klancher Merchant, difende la selezione poligenica dicendo che “non è eugenetica di Stato, ma uso della tecnologia per dare ai genitori la scelta sui tratti che valutano di più”, come riportato in un convegno pronatalista del 2023. La stessa Diana Fleischman, su un suo blog, ha affermato: “Eliminare un allele nocivo o scegliere un figlio con più alte capacità non viola alcun diritto di altri – siamo coerenti: in quanti modi già plasmiamo i nostri figli? La genetica è un altro mezzo”.
Nina Celli, 11 settembre 2025