La Global Sumud Flotilla non va interpretata solo come un evento episodico, limitato al tentativo di portare aiuti a Gaza via mare. Per molti sostenitori, il suo valore principale sta nella capacità di creare e rafforzare reti sociali e politiche transnazionali, che sopravvivranno alla missione stessa. Si tratta di un fenomeno che in sociologia dei movimenti viene definito “empowerment collettivo”: la costruzione di capitale sociale e la creazione di un senso di identità condivisa fra attori diversi, uniti da un obiettivo comune. La preparazione della Flotilla ha già attivato comitati locali in decine di Paesi: in Italia il Global Movement to Gaza ha raccolto firme e organizzato conferenze con accademici e artisti; in Spagna e Catalogna la partenza dal porto di Barcellona è stata preceduta da assemblee cittadine e cortei; in Tunisia e nel Maghreb sono sorte reti che collegano attivisti nordafricani con quelli europei e medio-orientali. Nel Sud-Est asiatico la campagna Sumud Nusantara ha coinvolto attivisti di Indonesia, Malesia e Filippine, creando un ponte tra lotte locali e la causa palestinese. Questo tessuto organizzativo, sottolineano i pro-Flotilla, non scomparirà al termine della traversata, ma continuerà ad agire su altri fronti: boicottaggi, pressione politica sui governi, sostegno ai rifugiati palestinesi. Gli stessi organizzatori hanno dichiarato che “la nostra forza non è solo nelle barche, ma nelle comunità che abbiamo messo in movimento”. La dimensione globale dell’iniziativa, con 44 Paesi rappresentati, rende visibile una solidarietà planetaria che travalica frontiere, religioni e culture. Per alcuni analisti, questo è già un risultato tangibile: la costruzione di una rete politica e sociale internazionale coesa, in grado di mantenere viva l’attenzione su Gaza nel tempo. Anche se le imbarcazioni venissero fermate, le reti resterebbero: i volontari tornerebbero nei loro Paesi con un bagaglio di esperienze, contatti e motivazioni che potrebbero tradursi in altre forme di attivismo. L’empowerment riguarda anche la diaspora palestinese, che attraverso la Flotilla rafforza i propri legami con la società civile internazionale. Le comunità palestinesi in Europa e America Latina hanno partecipato attivamente all’organizzazione, trovando uno spazio per riaffermare identità e legittimità politica. Inoltre, la partecipazione di attori esterni – come gruppi ambientalisti guidati da Greta Thunberg – dimostra che la causa palestinese può intrecciarsi con altre lotte globali (cambiamento climatico, diritti umani universali). Questo incrocio produce un effetto moltiplicatore: persone che forse non si erano mai interessate di Gaza ora la percepiscono come parte di un più ampio discorso di giustizia globale. Va inoltre considerato l’aspetto pedagogico e generazionale. Migliaia di giovani attivisti hanno seguito la formazione nonviolenta proposta dagli organizzatori, imparando tecniche di resistenza civile che potranno riutilizzare in altri contesti. Si crea così un patrimonio di competenze che non si disperderà, ma resterà come eredità a movimenti futuri. Per questo i favorevoli parlano di “investimento strategico”: la Flotilla come palestra di cittadinanza attiva, in cui si forgiano reti e competenze che avranno un impatto ben oltre il Mediterraneo.
Nina Celli, 26 agosto 2025