Un motivo centrale di opposizione alla Flotilla è la preoccupazione che essa possa innescare episodi di violenza e aggravare le tensioni, esattamente l’opposto di ciò che servirebbe per la causa palestinese. Gli analisti critici ricordano come finì la flottiglia del 2010: nove attivisti uccisi, decine feriti, un commando israeliano ferito grave e una crisi internazionale. Oggi, con la guerra in corso, lo scenario potrebbe essere persino più pericoloso. L’esercito israeliano ha chiarito senza ambiguità che “impedirà con ogni mezzo necessario” l’accesso di navi non autorizzate a Gaza. Il ministro Barak nel 2010 avvertiva di “confronto violento e pericoloso” se le barche non avessero deviato; quella dottrina è ancora valida, se non più rigida dopo il trauma del 7 ottobre 2023. Pertanto, i detrattori temono che forzare la mano ora potrebbe portare a un “incidente in mare” con esiti fatali: e se una motovedetta israeliana urtasse (volontariamente o per errore) una delle barche causando un naufragio? Se partisse un colpo accidentale? Israele ha già dimostrato di essere disposto ad utilizzare anche droni armati contro le navi: a maggio, secondo la Freedom Flotilla Coalition, la barca Conscience fu colpita da due droni al largo di Malta e danneggiata tanto da dover rinunciare. Un attacco del genere, se ripetuto su scala più ampia, potrebbe fare vittime. “Otteniamo un martire, perdiamo la causa”: questo è il timore di alcuni osservatori: che un bagno di sangue in mare finirebbe per polarizzare ancora di più il conflitto, riducendo gli spazi per soluzioni negoziali. Da un lato si creerebbero nuovi eroi/martiri per la causa palestinese, dall’altro Israele si chiuderebbe a riccio invocando il diritto alla difesa da quelle che definirebbe “provocazioni orchestrate” dall’“internazionale pro-Hamas”. Non va dimenticato infatti – sottolineano i critici – che Israele non esiterebbe a delegittimare moralmente i partecipanti dipingendoli come estremisti in combutta con il “nemico”. Dopo il sequestro della Handala, i media israeliani hanno evidenziato che tra gli organizzatori storici delle flottiglie ci sono figure come Zaher Birawi, designato da Israele e Regno Unito come operatore di Hamas. Un think-tank di Gerusalemme (JCPA) definì la flottiglia 2010 “una provocazione ben congegnata, falsamente presentata come missione umanitaria”, accusando gli organizzatori di voler sostenere il regime di Hamas e notando che alcune “donazioni” a bordo (es. reti mimetiche) avevano potenziali usi militari. Insomma, per Israele queste non sono innocenti crociere pacifiste, ma operazioni ostili mascherate. In caso di scontro, è prevedibile che Israele enfatizzi qualsiasi minimo dettaglio (una reazione brusca di un attivista, oggetti contundenti a bordo usati per difesa) per giustificare l’uso della forza, come fece nel 2010 sostenendo che i soldati furono attaccati con spranghe e coltelli e reagirono per legittima difesa. Inoltre, dal punto di vista dei contrari, la Flotilla rischia di distrarre e dividere gli sforzi internazionali. In un momento così delicato, l’ONU e vari mediatori stanno cercando di negoziare pause umanitarie, corridoi sicuri e scambi di ostaggi. L’iniziativa di una flottiglia parallela potrebbe complicare questo lavoro diplomatico, fornendo a Israele un argomento per dire: “vedete, c’è chi rema contro e fa propaganda invece di lavorare seriamente a soluzioni”. Già in passato, ricordano, l’ANP di Ramallah criticò alcune flottiglie perché temeva potessero dare ad Hamas un boost propagandistico e indebolire le posizioni più moderate. Oggi anche l’Egitto – attore chiave per Gaza – guarda con diffidenza a queste iniziative “non coordinate” che possono creare incidenti internazionali proprio sul suo confine marittimo. Se ad esempio la Flotilla fosse attaccata, l’Egitto subirebbe pressioni per aprire Rafah o reagire, ma potrebbe anche usarlo come pretesto per chiudere ancor più i confini appellandosi alla sicurezza. Un ulteriore danno collaterale paventato è la strumentalizzazione interna palestinese. Hamas, isolata e sotto assedio, saluterebbe ogni flottiglia come una vittoria propagandistica: lo ha già fatto dopo la Handala, applaudendo “il coraggio dei volontari” e definendo il sequestro israeliano “pirateria terroristica”. Ma questo elogio reciproco tra attivisti internazionali e Hamas può alienare una parte dell’opinione pubblica mondiale. Molti sostenitori della causa palestinese sono critici verso Hamas; se la Flotilla venisse percepita come eccessivamente schierata o strumentalizzata dal movimento islamista, alcuni potrebbero prenderne le distanze. I critici dicono: “si rischia di fare il gioco di Hamas, che poi non porta alcun beneficio concreto alla popolazione”. In pratica, c’è chi teme che l’operazione Sumud Flotilla offra un palcoscenico a Hamas per posare da vittima agli occhi del mondo, senza migliorare davvero la vita dei gazawi, e anzi rafforzando la narrativa israeliana che vuole Hamas sempre al centro.
Nina Celli, 26 agosto 2025