Per i sostenitori, la Global Sumud Flotilla è prima di tutto uno strumento mediatico-morale potente. Dopo mesi di guerra, Gaza rischia di scomparire dal discorso pubblico se non per tragiche statistiche. L’assedio si sta “normalizzando” nell’indifferenza globale. Una flottiglia di decine di barche da ogni angolo del mondo, con a bordo figure note come Greta Thunberg e Susan Sarandon, rompe questa indifferenza e riporta Gaza sulle prime pagine. Ogni veliero che salpa è un piccolo faro che illumina l’oscurità imposta dal blocco. Come scrive l’attivista palestinese Yara Hawari, “ogni nave intercettata, ogni volontario detenuto, riafferma che Gaza non sarà dimenticata”. La mera esistenza della Flotilla costringe governi e opinioni pubbliche a confrontarsi con la questione: l’assedio è compatibile con i valori umanitari occidentali? I leader globali, accusano i pro-Flotilla, hanno fallito nel fermare quella che ONG israeliane e internazionali definiscono senza mezzi termini una campagna di “genocidio” a Gaza. Dunque “tocca alla società civile” mobilitarsi, facendo leva sull’arma pacifica della testimonianza diretta. La Flotilla porta nei porti del Mediterraneo (Barcellona, Tunisi, Genova e altri) eventi, conferenze stampa e manifestazioni che già nei giorni precedenti la partenza hanno mobilitato migliaia di persone. Il racconto mediatico si popola di volti e storie: medici, ex soldati, artisti che scelgono di rischiare pur di lanciare un appello umanitario. Ad esempio, dal Sud-Est asiatico è partita la campagna Sumud Nusantara: attivisti da Indonesia, Malesia, Filippine e altri Paesi, sostenuti simbolicamente persino dal premier malese Anwar Ibrahim, hanno raccolto fondi e partecipanti, sottolineando la dimensione globale Sud-Sud della solidarietà a Gaza. Queste iniziative creano un senso di unità transnazionale attorno alla causa palestinese: 44 bandiere diverse che sventolano insieme simboleggiano il mondo che dice “basta” all’assedio. Gli organizzatori parlano esplicitamente di “movimento di popoli” e non di governi, richiamando valori universali: “giustizia, libertà e sacralità della vita umana”. Sul piano pratico, i favorevoli ammettono che la flotilla potrebbe non far arrivare tonnellate di cibo a Gaza, poiché non è un’operazione logistica, ma di coscienza. Il suo potere è nella narrazione pubblica che genera. Ricordano un precedente significativo: nel 2010, dopo il disastro del Mavi Marmara, Israele subì una pressione diplomatica tale da dover allentare il blocco terrestre e consentire l’ingresso di più beni essenziali a Gaza. Fu una vittoria indiretta dell’azione civile, sebbene pagata a caro prezzo. Oggi la Global Sumud Flotilla, molto più vasta, potrebbe replicare quell’impatto senza necessariamente arrivare in porto: “la Madleen è stata fermata in mare, ma il suo messaggio viaggia lontano”, chiosa Hawari. La presenza di personalità influenti amplifica la risonanza: la stessa Greta Thunberg è seguita da milioni di giovani e la sua partecipazione ha generato centinaia di articoli e discussioni sui social, portando nuovi segmenti di pubblico a informarsi sulla crisi di Gaza. Inoltre, i pro-Flotilla sottolineano che l’azione è rigorosamente non-violenta e legale, mettendo Israele in una posizione scomoda: qualsiasi intervento armato contro pacifisti disarmati appare sproporzionato e difficilmente giustificabile agli occhi del Diritto internazionale e dell’opinione pubblica. Ciò fu evidente nel 2010, quando l’uccisione degli attivisti provocò condanne planetarie e isolò diplomaticamente Israele. Questa volta la flotilla ha preparato i partecipanti con addestramento alla nonviolenza e strategie di comunicazione in diretta (streaming, reporter a bordo) per mostrare in tempo reale cosa accade. Ad esempio, sulla Handala a luglio vi erano giornalisti di “Al Jazeera” che hanno trasmesso fino al momento dell’abbordaggio. Le immagini di soldati armati che si calano su piccole imbarcazioni cariche di cibo per bambini e volontari generano un inevitabile impatto morale. Organizzazioni per i diritti umani come Adalah e UN Special Rapporteurs hanno già dichiarato illegale l’intercettazione di navi civili in acque internazionali e hanno invocato safe passage per le flottiglie umanitarie. Ogni atto repressivo, dunque, rafforza la causa palestinese sul piano legale e reputazionale. I favorevoli vedono nella Flotilla un atto di speranza attiva che coinvolge anche chi non sale fisicamente a bordo. L’organizzazione ha invitato il pubblico a partecipare a proteste e flash mob nei vari Paesi durante la navigazione. Questo produce un effetto domino: mentre le barche avanzano, si tengono veglie, cortei, sit-in nei porti e città del mondo, in sostegno e protezione morale dei convogli. Lo slogan è “When the world stays silent, we set sail” (quando il mondo resta in silenzio, noi salpiamo), a indicare che la mobilitazione navale serve anche a svegliare le coscienze assopite. Persone comuni, non schierate politicamente, possono empatizzare con l’idea di medici e pacifisti su piccole barche bloccate da navi militari, e magari cambiare opinione sulla narrazione dominante. In tal senso, la Global Sumud Flotilla è vista come efficace: non tanto nel forzare materialmente l’assedio (obiettivo quasi impossibile), ma nel “forzare il mondo a guardare” e a porsi domande scomode sulla situazione di Gaza e sulle proprie responsabilità.
Nina Celli, 26 agosto 2025