Attribuire all’Occidente il ruolo di imposizione nel conflitto Russia-Ucraina equivale a ribaltare i fatti. Fin dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022, le democrazie occidentali si sono mosse non per dirigere, ma per difendere, e oggi, dopo oltre tre anni di guerra, sono ancora impegnate in una mediazione faticosa, diplomatica, multilaterale, il cui scopo non è imporre una pace, ma evitare che la pace venga imposta unilateralmente da Mosca. L’Occidente ha fornito armi, fondi e sostegno politico all’Ucraina, sì, ma l’ha fatto in risposta all’aggressione illegale di una potenza revisionista, non per dettare i termini di un futuro trattato. Ogni passo diplomatico è stato concertato con Kyiv, ogni summit multilaterale ha incluso la partecipazione attiva ucraina. Come affermato dal presidente Joe Biden nel 2023, “nulla sull’Ucraina sarà deciso senza l’Ucraina”. Questo principio è rimasto intatto anche negli incontri più recenti, dal G7 in Italia fino al vertice di Washington dell’agosto 2025. Contrariamente alla narrazione dominante in ambienti realisti o cinici, gli Stati Uniti non hanno imposto una road map unilaterale. Come emerso dai resoconti ufficiali del summit di Anchorage, Donald Trump ha proposto un formato negoziale, ma ha lasciato ampio margine di manovra a Zelensky e agli alleati europei. La proposta di scambio “land for security” non è stata posta come ultimatum, ma come base di discussione. Lo stesso Trump ha dichiarato: “Io posso solo aiutare, la pace la devono fare loro”, riferendosi a Zelensky e Putin. Questo è il linguaggio del mediatore, non del dominatore. L’Unione Europea ha avuto un ruolo altrettanto attivo nella costruzione di un processo multilaterale di pace. Come riportato da “Sky TG24” e “Corriere della Sera”, le posizioni espresse da Macron, Meloni, Scholz e von der Leyen non mirano a forzare l’Ucraina verso un compromesso, ma a garantire che ogni soluzione sia accompagnata da un sistema di garanzie, investimenti e vincoli multilaterali. La proposta di includere la clausola dell’articolo 5 NATO in formato “soft” è proprio una misura che punta a proteggere l’equilibrio, non a colonizzarlo. A ben guardare, le principali potenze occidentali sono oggi divise sulle modalità del processo di pace. Questo pluralismo — tra l’approccio più pragmatico americano e la linea più normativa europea — dimostra che non c’è un centro unificato di comando che detta le condizioni, ma una costellazione di attori che negoziano, bilanciano, cercano compromessi. È esattamente questo il senso della mediazione multilaterale: un processo lento, imperfetto, ma condiviso. In contrasto con Mosca, che ha posto condizioni unilaterali fin dall’inizio (neutralità ucraina, riconoscimento della Crimea, smilitarizzazione di Kyiv), l’Occidente ha lasciato spazio al negoziato. Le accuse secondo cui l’Occidente starebbe “forzando” l’Ucraina a cedere territori sono infondate. Come mostra il sondaggio Gallup di agosto 2025, il popolo ucraino resta contrario a concessioni territoriali, ma favorevole a un accordo sostenibile. L’Occidente ha accolto questo orientamento: nessun leader europeo ha mai pubblicamente appoggiato una cessione del Donbass o della Crimea senza consenso ucraino. Le dichiarazioni ufficiali, da Parigi a Berlino, insistono sul fatto che “la pace deve essere accettata da Kyiv”. E proprio per questo, ogni ipotesi di compromesso viene trattata come proposta condizionata, non come diktat. Inoltre, l’Occidente non è solo negoziatore, è anche garante. Qualunque accordo — se e quando sarà raggiunto — non potrà sopravvivere senza un sistema multilaterale di sicurezza, di cui solo USA, UE e NATO possono farsi carico. È per questo che il ruolo occidentale è insostituibile, non perché imponga, ma perché difende lo spazio negoziale da imposizioni russe. In un contesto in cui Mosca ha già dimostrato più volte la volontà di ignorare accordi sottoscritti (memorandum di Budapest, accordi di Minsk), l’unica garanzia è un Occidente compatto, capace di mediare tra le parti e di costruire un sistema di monitoraggio e deterrenza credibile. L’alternativa alla mediazione occidentale è una “pace russa”. Un accordo bilaterale Putin-Zelensky senza garanzie occidentali sarebbe vulnerabile, non verificabile e facilmente revocabile. La presenza di Washington, Bruxelles, Londra, Berlino e Parigi al tavolo è l’unico fattore che impedisce alla pace di diventare un’imposizione unilaterale del Cremlino. Ed è anche il motivo per cui Mosca ha sempre cercato di escludere o delegittimare il ruolo occidentale. L’Occidente, dunque, non è oggi il protagonista autoritario del processo di pace, ma il suo garante democratico. Attraverso consultazioni, garanzie, pressioni diplomatiche e supporto finanziario, le democrazie occidentali stanno costruendo una pace multilaterale, sostenibile e legittima, senza piegarsi alla logica dei vincitori né al cinismo dei neutralisti.
Nina Celli, 21 agosto 2025