Cedere territori sotto la minaccia delle armi non è un compromesso: è una capitolazione geopolitica. Nell’attuale conflitto tra Russia e Ucraina, la proposta di un compromesso territoriale, seppur travestita da soluzione pragmatica, costituirebbe un precedente pericoloso e una minaccia sistemica all’ordine internazionale. Non solo comprometterebbe la sovranità ucraina, ma aprirebbe le porte a una nuova era di revisionismo armato, legittimando l’uso della forza come strumento diplomatico. Il principio cardine del diritto internazionale è che i confini non si modificano con l’invasione. Questo è sancito nella Carta delle Nazioni Unite (articolo 2), nella Dichiarazione di Helsinki del 1975, negli Accordi di Budapest del 1994 (sottoscritti dalla stessa Russia) e da decine di risoluzioni dell’ONU. Accettare un compromesso territoriale significa riscrivere queste norme in favore del “fatto compiuto” e trasformare ogni Stato più debole in un potenziale bersaglio. Come ha sottolineato David Kramer (“PBS”, agosto 2025), già consigliere al Dipartimento di Stato, “accettare che la Russia tenga ciò che ha preso con la guerra significa invitare alla prossima aggressione”. Le implicazioni vanno ben oltre il Donbass o la Crimea: riguardano Taiwan, le repubbliche baltiche, il Nagorno-Karabakh, persino Kosovo e Transnistria. Se l’Ucraina perde territori e l’aggressore ottiene un posto al tavolo come interlocutore rispettato, la guerra diventa un’opzione strategica accettabile per ogni potenza revisionista. A livello regionale, la cessione formale di territorio alla Russia altererebbe in modo irreversibile gli equilibri strategici. Non si tratta solo di chilometri quadrati: il Donbass è un corridoio militare, la Crimea è una base navale avanzata, Zaporizhzhia ospita infrastrutture energetiche critiche. Permettere a Mosca di consolidare il controllo su queste aree significa consentirle di proiettare potenza in tutta l’Europa orientale e nel Mar Nero, minacciando costantemente paesi NATO come Romania, Bulgaria, Polonia e le repubbliche baltiche. Non è un’ipotesi astratta. La strategia militare russa si basa sull’occupazione graduale e la stabilizzazione successiva tramite narrazioni etniche o storiche. Lo schema è stato usato in Georgia (2008), in Crimea (2014) e oggi nel Donbass. Ogni volta che il Cremlino ha ottenuto una “concessione”, l’ha utilizzata come base per l’avanzamento successivo. Cedere ancora significherebbe alimentare la logica predatoria di Mosca. Dal punto di vista interno ucraino, un compromesso territoriale minerebbe la legittimità dello Stato e destabilizzerebbe la società. Il 60% degli ucraini, secondo il sondaggio Gallup (agosto 2025), rifiuta qualsiasi cessione senza condizioni. Le aree che verrebbero “concesse” ospitano milioni di cittadini ucraini che verrebbero abbandonati sotto controllo russo, spesso già sottoposti a deportazioni, russificazione forzata e repressione. Il rischio non è solo morale, ma anche geopolitico: il compromesso potrebbe innescare movimenti di resistenza, guerriglia e una guerra a bassa intensità permanente. Anche sul piano delle alleanze internazionali, un compromesso territoriale causerebbe fratture. L’Unione Europea perderebbe credibilità tra i suoi membri orientali, che si sentirebbero traditi e vulnerabili. La NATO dovrebbe riformulare le proprie strategie difensive, sapendo che gli articoli 4 e 5 potrebbero non bastare. E gli Stati Uniti, nel cercare una soluzione rapida, rischierebbero di alienarsi il sostegno di alleati chiave, minando il loro ruolo di garante della sicurezza globale. Le alternative esistono. Un cessate il fuoco monitorato da forze ONU o OSCE, con negoziati sullo status delle regioni occupate, senza riconoscimento della sovranità russa, rappresenterebbe una soluzione intermedia che non legittima l’aggressione. In passato, la diplomazia ha prodotto accordi simili in contesti ben più complessi: pensiamo al Libano, a Cipro, o alla Bosnia, dove si è lavorato su status speciali, autonomie temporanee, zone demilitarizzate. L’obiettivo deve essere contenere il conflitto senza premiare l’aggressore. Come ha dichiarato Zelensky, accettare la cessione di territori “equivarrebbe a dire che la Russia ha vinto”. Ma non è solo una questione nazionale. È la posta in gioco per l’intero ordine mondiale. Se oggi si accetta un compromesso che avvalla l’invasione, domani ogni Stato potrà essere ridisegnato dai missili, non dai trattati. Un compromesso territoriale, dunque, non è pace, è una pausa mascherata che rischia di gettare le fondamenta di un conflitto più grande e devastante. Il prezzo geopolitico non è sostenibile, né per l’Ucraina, né per l’Europa, né per l’Occidente.
Nina Celli, 21 agosto 2025