Quando un conflitto si protrae per anni, con decine di migliaia di morti, milioni di sfollati e il rischio costante di escalation globale, la vera domanda non è più “chi ha ragione”, ma “come fermare tutto questo?”. È in questo contesto che un compromesso territoriale tra Russia e Ucraina s’impone non come un cedimento, ma come l’unica opzione geopoliticamente sostenibile. La rinuncia all’ideale integrale di sovranità può essere la chiave per evitare una guerra permanente, ricostruire un equilibrio continentale e impedire il collasso definitivo della sicurezza europea. Il vertice di Anchorage del 2025 rappresenta il momento simbolico di questa svolta realista. Come riportato da fonti come “The Independent”, “Sky News” e “Corriere della Sera”, Donald Trump ha proposto una formula esplicita di “land for security”: cedere formalmente i territori già sotto controllo russo in cambio di garanzie concrete sulla neutralità dell’Ucraina e sulla sua protezione futura da ulteriori aggressioni. Questo piano, a lungo considerato tabù, ha trovato consensi impliciti in ambienti diplomatici europei e statunitensi, pur tra molte ambiguità. Dal punto di vista geopolitico, questa soluzione ha almeno tre meriti evidenti. Innanzitutto, evita una lunga guerra di logoramento. Il conflitto ha già consumato gran parte delle risorse strategiche di Ucraina, Europa e Stati Uniti. Secondo il rapporto di “Vietato Parlare News”, l’Europa dovrebbe spendere oltre 400 miliardi di euro annui per sostenere una guerra convenzionale ad alta intensità senza l’appoggio americano. Inoltre, gli arsenali sono prossimi all’esaurimento e le industrie belliche faticano a tenere il passo. Un compromesso territoriale eviterebbe una crisi di sistema dell’intera difesa occidentale. Inoltre, congela l’espansionismo russo in cambio della stabilità ucraina: Putin, secondo fonti come “Russia Matters” e “PBS”, ha dichiarato di volersi fermare se ottiene formalmente la Crimea e l’intero Donbass. Anche se ciò viola il principio dell’inviolabilità territoriale, rappresenta una trincea geopolitica oltre la quale Mosca non spingerebbe, evitando così il rischio di una nuova avanzata verso Odessa, Kharkiv o le frontiere della NATO. In cambio, l’Ucraina otterrebbe uno status neutrale con protezioni simili all’articolo 5 NATO, ma senza adesione formale. Questa “NATO-light” garantirebbe deterrenza senza escalation. E poi, ridisegna le sfere d’influenza con un accordo formale e verificabile: la geopolitica non si basa sul diritto puro, ma sulla codifica degli equilibri. Come a Yalta nel 1945, il compromesso tra potenze ha permesso una stabilità duratura, seppur imperfetta. Un nuovo accordo, sottoscritto da USA, Russia e UE, e supervisionato da ONU o OSCE, potrebbe creare una nuova architettura di sicurezza regionale, con zone demilitarizzate, meccanismi di verifica, limitazione delle basi e un sistema di early warning contro aggressioni future. Non mancano precedenti. Anche in Corea, Kosovo, Bosnia, Cipro, la pace è stata raggiunta grazie a compromessi territoriali forzati. Nessuno di questi ha rispettato la piena sovranità originaria degli Stati coinvolti, ma hanno permesso di fermare i massacri e iniziare la ricostruzione. Lo stesso Joe Biden, nel 2023, ha ammesso che “alcune guerre non si vincono, si congelano”. I rischi di non accettare un compromesso sono ben peggiori. L’escalation nucleare – evocata più volte da esponenti russi come Medvedev – non è solo propaganda. Un prolungamento indefinito del conflitto potrebbe portare a incidenti diretti tra Russia e NATO, in particolare se attacchi missilistici dovessero colpire infrastrutture in Polonia, Romania o nei Baltici. Il compromesso territoriale è il prezzo della sicurezza sistemica. Va inoltre sottolineato che molti ucraini sono ormai disillusi. Secondo il sondaggio Gallup (agosto 2025), quasi 7 cittadini su 10 preferirebbero una pace imperfetta ma immediata a una guerra infinita per la riconquista totale. Questo non significa rassegnazione, ma lucido pragmatismo: un popolo che ha perso decine di migliaia di figli in battaglia, che ha visto le sue città ridotte in macerie e la sua economia distrutta, ha il diritto di scegliere la via della sopravvivenza. E se per sopravvivere serve cedere un pezzo di terra, ma mantenere lo Stato, allora è una scelta geopoliticamente razionale. È importante capire, inoltre, che un compromesso territoriale non equivale alla legittimazione dell’aggressione, ma può essere costruito come un atto di prevenzione strategica. L’accordo potrebbe includere sanzioni permanenti per la Russia, compensazioni economiche per l’Ucraina, riconoscimento internazionale dei crimini di guerra e la creazione di un fondo per la ricostruzione vincolato al rispetto delle clausole. La geopolitica non premia l’ideale astratto, ma l’equilibrio dinamico tra interessi e costi. In questo contesto, un compromesso territoriale — se costruito con rigore, verificabilità e garanzie multilaterali — non è una sconfitta per l’Ucraina, ma una via d’uscita strategica dal caos. È l’unica pace ancora possibile in un mondo in cui la giustizia pura si è già dissolta.
Nina Celli, 21 agosto 2025