L’asimmetria nei conflitti è una costante della storia, ma non per questo deve sancire la morte della giustizia. Al contrario, è proprio nei conflitti più sbilanciati che il principio di una pace giusta assume il suo significato più profondo e urgente. Non si tratta di ignorare i rapporti di forza, ma di costruire un esito sostenibile, riconosciuto dalle parti e dal sistema internazionale, che garantisca stabilità nel tempo. Una pace imposta è fragile. Una pace giusta, anche in contesto asimmetrico, può diventare duratura. Il caso Ucraina-Russia è paradigmatico. Certo, la Russia è più grande, più armata, dotata di un arsenale nucleare e di risorse energetiche strategiche. Ma l’asimmetria militare non implica automaticamente superiorità morale o politica. In guerra, come nella diplomazia, il diritto non è riservato ai più forti. È questa la lezione del Diritto internazionale post-bellico. E proprio per questo l’idea di una pace giusta non è retorica: è un principio guida che consente alla comunità globale di riconoscere legittimità, delegittimare l’aggressione e costruire un equilibrio multilaterale. Una pace giusta, nel contesto ucraino, significa riconoscere la sovranità dell’Ucraina entro i confini internazionalmente riconosciuti; garantire meccanismi di sicurezza credibili; fornire garanzie internazionali contro future aggressioni. Tutto questo non esclude la trattativa, ma ne determina i limiti morali. Una pace che ratificasse la conquista militare di territori – come la Crimea o il Donbass – senza alcuna responsabilità giuridica, sarebbe un precedente pericoloso. Lo ha sottolineato anche Charles Kupchan, ex consigliere della Casa Bianca, in un’intervista alla “PBS” (agosto 2025). Kupchan riconosce la complessità di ottenere una pace duratura, ma insiste sul fatto che “ogni accordo che ignori la legalità internazionale e i principi dell’autodeterminazione non può essere stabile”. La “pace possibile” che accetta l’annessione russa non è realismo: è normalizzazione dell’aggressione. L’opinione pubblica internazionale è sensibile a questa dinamica. Come riportato nel sondaggio Gallup (agosto 2025), sebbene la maggioranza degli ucraini auspichi un negoziato, oltre il 60% rifiuta concessioni territoriali in assenza di garanzie, riparazioni e giustizia per i crimini subiti. Ciò dimostra che l’aspirazione alla pace non è cieca, ma selettiva: l’Ucraina non chiede l’impossibile, ma nemmeno l’umiliazione. Come osserva il presidente Zelensky, “una pace senza giustizia è solo una tregua che prepara la prossima guerra”. Anche in altri conflitti asimmetrici si sono ottenuti esiti equilibrati. Il processo di pace in Sudafrica negli anni ‘90, ad esempio, vide l’African National Congress negoziare con un governo molto più potente sul piano militare e internazionale. Eppure, grazie alla legittimazione internazionale e al sostegno multilaterale, si arrivò a un accordo basato su principi condivisi, non sul predominio. Un altro esempio è Timor Est, liberata dopo anni di occupazione indonesiana. Anche lì la giustizia appariva irraggiungibile, eppure è arrivata, con diplomazia, pressione multilaterale e volontà politica. Nel caso ucraino, la pace giusta può essere raggiunta solo se si rispettano alcuni criteri minimi non negoziabili: la restituzione almeno parziale dei territori, meccanismi di sicurezza affidabili (con monitoraggio internazionale), un processo di ricostruzione sostenuto da fondi internazionali e riconoscimento ufficiale delle violazioni subite dalla popolazione civile. Come evidenzia “La Stampa”, riportando le parole del senatore Casini, “non basta l’articolo 5: servono garanzie concrete”. Ma il fatto che siano necessarie non implica che non siano possibili. Inoltre, la posizione della Russia non è monolitica. Secondo “Russia Matters” (Rapporto 11–18 agosto 2025), all’interno dell’establishment russo ci sono segnali di apertura: figure moderate chiedono un congelamento del conflitto, ritiro parziale, negoziati multilaterali. La pressione diplomatica può dare risultati, ma solo se ha come fondamento una proposta di pace equa. Accettare la visione realista secondo cui “il più forte detta legge” chiuderebbe ogni spiraglio a queste correnti interne. Inoltre, c’è la questione della legittimazione globale. Una pace iniqua destabilizzerebbe l’intero ordine internazionale, minando la fiducia nei meccanismi multilaterali: ONU, OSCE, Unione Europea. Non si può permettere che il messaggio implicito sia “attacca finché conquisti, poi negozia”. Come afferma David Kramer, ex vicesegretario di Stato americano, “una pace giusta in Ucraina è essenziale per la sicurezza di tutto il mondo democratico”. L’alternativa è la legge della giungla geopolitica. Anche nei conflitti asimmetrici, dunque, è possibile e necessario difendere i contorni di una pace giusta, non come ideale astratto, ma come garanzia concreta di stabilità. Il realismo non può diventare cinismo. La pace giusta non è la più facile da raggiungere, ma è l’unica che valga la pena firmare.
Nina Celli, 21 agosto 2025