I conflitti contemporanei si sviluppano quasi sempre tra potenze diseguali, e quello tra Russia e Ucraina è emblematico di questa realtà. Parlare di “pace giusta” in un contesto asimmetrico come questo non è solo teoricamente illusorio, ma anche strategicamente fuorviante. Nei fatti, una pace giusta in Ucraina non esiste e non può esistere, perché ogni risultato negoziato sarà sempre il frutto di uno squilibrio strutturale tra le parti. La Russia, potenza nucleare con oltre 140 milioni di abitanti, risorse energetiche sterminate e un esercito tra i più grandi del pianeta, affronta una nazione di appena 40 milioni di abitanti, priva di un arsenale atomico, senza accesso diretto ai mari liberi e completamente dipendente dal supporto occidentale per armamenti, logistica e finanziamenti. Anche ammettendo la straordinaria capacità di resistenza dimostrata da Kyiv, lo squilibrio rimane schiacciante. Le condizioni strutturali di partenza precludono l’equità dell’esito finale. Come osserva Achille De Tommaso nell’articolo Il circo di Anchorage: Trump, Putin e la grande sagra della pace giusta (“Nel Futuro”), il concetto di “pace giusta” è diventato una formula retorica vuota, usata per nascondere l’incapacità dell’Occidente di accettare la propria impotenza strategica. L’autore sottolinea come l’UE sia ormai confinata al ruolo di “spettatrice pagante” in una trattativa decisa da attori più forti (USA e Russia), e come l’Ucraina, pur centrale nel discorso, sia diventata un soggetto diplomatico marginale. In un conflitto in cui uno dei due contendenti può dettare i termini con la forza — come Putin sta facendo — ogni riferimento alla “giustizia” diventa superfluo, se non dannoso. Anche Patrizio Ricci, su” Vietato Parlare News”, insiste su un punto fondamentale: nei conflitti asimmetrici, la legittimità giuridica viene rapidamente sostituita dalla logica dei rapporti di potere. La Russia non ha vinto militarmente l’intera guerra, ma ha ottenuto abbastanza da bloccare ogni soluzione “giusta” in senso ideale. E soprattutto, dispone di strumenti di ricatto sistemico — energetici, nucleari, strategici — che rendono impossibile una trattativa simmetrica. Pretendere un ritiro completo delle truppe, la restituzione dei territori o la punizione dei responsabili diventa allora più una richiesta propagandistica che un reale punto negoziale. Questo tipo di diseguaglianza non è nuovo. Come osservato da Russia Analytical Report (“Russia Matters”, 11–18 agosto 2025), la diplomazia funziona solo quando c’è reciprocità nel rischio e nel potere. In tutti i summit, compreso quello di Anchorage, Putin si è seduto al tavolo da una posizione di forza, nonostante le perdite subite, proprio perché il terreno su cui gioca è strategicamente più vantaggioso. La stessa disponibilità di Trump a ignorare il cessate il fuoco come prerequisito dimostra che gli equilibri attuali vengono costruiti sul “quanto puoi infliggere all’altro”, non su cosa sia moralmente giusto. Anche il concetto stesso di “giustizia” cambia nei conflitti asimmetrici. Per l’Ucraina, giusto significa integrità territoriale, indipendenza, ingresso nella NATO o nell’UE. Per la Russia, significa neutralizzazione del vicino, esclusione da blocchi occidentali e riconoscimento della Crimea. Come possono coesistere visioni tanto inconciliabili? Nessun compromesso può contenere entrambe, e per questo, nessuna pace potrà essere davvero giusta. Il caso della Corea del Sud è spesso evocato come modello di compromesso riuscito in un contesto asimmetrico, ma è un esempio imperfetto. La tregua del 1953 ha solo congelato il conflitto, non l’ha risolto. Il Nord è rimasto una minaccia permanente, il Sud una democrazia militarmente sorvegliata, e ancora oggi non esiste un trattato di pace vero e proprio. Proporre una soluzione simile all’Ucraina significa proporre una guerra permanente in forma latente, non una pace. Come afferma Federico Rampini, “la Corea è sopravvissuta, ma a quale prezzo?”. C’è inoltre la questione dell’effetto domino. Se la comunità internazionale accetta che in un conflitto asimmetrico il più forte imponga le condizioni, si apre la porta a nuove aggressioni “selettive”. Taiwan, Moldavia, le repubbliche baltiche, le zone contese del Caucaso: tutti diventano vulnerabili. La “pace ingiusta” in Ucraina stabilisce un precedente che rafforza l’asimmetria globale. Ma ignorarlo non lo elimina. Lo conferma anche Pier Ferdinando Casini, che, pur favorevole al compromesso, ammette: “Nelle guerre, valgono solo le regole della forza”. In definitiva, il concetto di “pace giusta” crolla sotto il peso delle disuguaglianze strutturali. Nei conflitti asimmetrici, ogni pace è per definizione il risultato di un equilibrio impari, e ciò che può sembrare giusto per una parte è inaccettabile per l’altra. Il compromesso non è l’ideale, ma è l’unico risultato possibile quando l’unico criterio riconosciuto è quello della sopravvivenza e della stabilizzazione.
Nina Celli, 21 agosto 2025