L’intelligenza artificiale e l’automazione stanno modificando il tessuto del lavoro e delle opportunità economiche, ma lo stanno facendo in modo profondamente ineguale. Il discorso pubblico tende a oscillare tra l’entusiasmo utopico per le infinite possibilità della tecnologia e l’allarmismo distopico sui robot che rimpiazzeranno ogni forma di lavoro umano. Tuttavia, nel mezzo di queste narrazioni, si sta consolidando una verità meno visibile ma più preoccupante: l’accelerazione tecnologica sta ampliando la disuguaglianza economica come mai prima. Non lo fa con un’esplosione spettacolare, ma con l’erosione lenta e sistematica dei ceti medi e dei lavori “standardizzati”, che hanno storicamente rappresentato la spina dorsale dell’equilibrio sociale nelle economie occidentali. Secondo uno studio basato su dati di 240 regioni europee, pubblicato su “Lavoce.info”, l’adozione di tecnologie digitali emergenti ha prodotto effetti positivi sull’occupazione solo in termini netti aggregati. Ma da un’analisi approfondita, risulta che i lavoratori a media qualificazione – tecnici, impiegati, operatori con esperienza – sono quelli che stanno perdendo più terreno. Mentre crescono le opportunità per i lavoratori ad alta qualificazione, e in parte anche per quelli a bassa, gli intermedi stanno sparendo. È la “polarizzazione occupazionale”, la tendenza per cui il lavoro si concentra agli estremi della scala salariale e delle competenze, desertificando il centro. L’OECD ha confermato questo fenomeno nel suo Employment Outlook 2025: il 20% più qualificato della forza lavoro ha beneficiato di un aumento reale dei salari nell’ultimo decennio, mentre il resto ha visto stagnazione o peggioramento. È una redistribuzione al contrario, una frattura strutturale che si approfondisce a ogni ciclo innovativo. Non si tratta di derive teoriche. Andy Jassy, CEO di Amazon, ha scritto in una comunicazione aziendale che nei prossimi anni l’impresa ridurrà la forza lavoro corporate “grazie ai guadagni di efficienza dell’intelligenza artificiale”. E Amazon è solo l’inizio. Le nuove AI generative non si limitano a velocizzare calcoli o gestire magazzini: imparano a scrivere email, generare testi, rispondere ai clienti, programmare, analizzare dati. Sostituiscono funzioni umane centrali nel lavoro cognitivo e relazionale. L’universo dei “colletti bianchi” – consulenti, creativi, copywriter, traduttori, perfino giornalisti – non è più al sicuro. L’élite professionale si ritrova improvvisamente sulla stessa china delle fabbriche automatizzate di vent’anni fa. Il mito del lavoro intellettuale come rifugio sicuro vacilla. Al tempo stesso, chi già oggi vive al margine del mondo digitale – per mancanza di infrastrutture, competenze o reti sociali – rischia di essere definitivamente escluso. Il World Economic Forum stima che entro il 2030 ben 92 milioni di posti saranno eliminati. Non è solo una questione numerica: quei lavori sono occupati in larga parte da donne, persone nere, latinoamericane, immigrati, giovani senza laurea. L’AI non è neutra: riflette e amplifica le disuguaglianze esistenti, trasformandole in barriere tecnologiche. Il caso Amazon, con oltre 27.000 licenziamenti dal 2022, illustra perfettamente questo meccanismo. È l’efficienza come imperativo assoluto a guidare la rivoluzione, non la giustizia sociale. Secondo Brian Albrecht, economista e autore del saggio Will AI Skyrocket Inequality?, l’intelligenza artificiale incarna un esempio perfetto di “skill-biased technical change”, un cambiamento tecnico che avvantaggia sistematicamente chi ha alte competenze e penalizza tutti gli altri. Se non si interviene con politiche pubbliche forti – redistribuzione fiscale, formazione gratuita, accesso universale alla connettività – l’innovazione diventerà un meccanismo di esclusione. Non solo di alcuni lavori, ma di intere classi sociali. La disuguaglianza smetterà di essere un effetto collaterale del progresso e diventerà la sua conseguenza strutturale. La tecnologia, in questa dinamica, non sarà il motore di un futuro condiviso, ma il selettore silenzioso di chi resta in corsa e chi viene scartato.
Nina Celli, 10 luglio 2025