Una delle critiche più profonde mosse al PSNAI 2021–2027 non riguarda solo le sue dichiarazioni di principio, ma il modello culturale che sottende all’intero impianto strategico: quello secondo cui le aree interne siano spazi da accompagnare con compassione verso la loro fine naturale. Spazi da gestire come architetture di servizio minimo piuttosto che come laboratori di futuro. È questa logica che le comunità locali rifiutano con, rivendicando invece un ruolo attivo nella costruzione del proprio destino. Non chiedono un welfare compassionevole, né assistenzialismo. Chiedono strumenti per restare, innovare, rilanciare. Una posizione condivisa da numerosi amministratori, sindaci, studiosi e cittadini, che nei mesi scorsi hanno riempito le pagine di “Cronaca Eugubina”, “Basilicata24”, “Vivienna” con appelli, denunce e proposte. Nel suo intervento su “Basilicata24”, la sociologa Teresa Delle Donne descrive con lucidità la frattura tra la retorica delle politiche pubbliche e la realtà quotidiana dei paesi: “Feste, eventi e sagre non bastano. I territori prosperano se si investe per accrescere il benessere e la salute della gente che li abita ogni giorno”. Il rischio, secondo l'autrice, è trasformare i borghi in parchi tematici occasionali, animati da eventi turistici ma vuoti di servizi, visione e dignità. Invece di investire in infrastrutture, sanità, scuola e trasporti, si spendono risorse per comparse, passerelle e storytelling istituzionale. Ma la memoria, la coesione e la comunità non si costruiscono con la nostalgia. Anche Katya Rapè, segretaria PD di Enna, intervistata da “Vivienna”, va nella stessa direzione: “I nostri territori non sono un peso da gestire. Sono ricchezza, identità, risorsa. Non vogliamo essere accompagnati al declino. Vogliamo un piano giovani, un piano lavoro, una strategia che renda il restare una scelta, non una condanna”. Le sue parole non sono isolate. In tutto il Paese si moltiplicano le voci che chiedono politiche attive, non gestione passiva. “Cronaca Eugubina”, riportando l’intervento dell’ex sindaco Stirati, parla di “cure palliative per un malato terminale”. Ma le comunità locali non si sentono affatto in coma. Sentono di avere ancora idee, energia, cultura, relazioni, capitale umano. Chiedono semplicemente che lo Stato non si limiti a osservarle da lontano. Che non definisca il loro orizzonte in base a un algoritmo. Che non usi l’irrecuperabilità come criterio di selezione politica. Vogliono poter scegliere di restare senza sentirsi rassegnati, né tantomeno puniti. È questa la vera posta in gioco: la pretesa che anche nei luoghi marginali venga riconosciuto il diritto alla progettualità, all’innovazione, all’inclusione. Perché, se lo Stato si limita a “garantire un declino dignitoso”, smette di essere motore di equità. E se la politica accetta questa logica, allora diventa il primo agente di una disuguaglianza istituzionalizzata. Il problema, quindi, non è solo nel PSNAI, ma la sua visione, troppo fredda e limitata. Le comunità interne, invece, chiedono uno sguardo più umano. Non sono rovine da preservare, né statistiche da gestire. Sono luoghi da vivere, da costruire, da reinventare.
Nina Celli, 8 luglio 2025