Una delle critiche più forti al PSNAI 2021–2027 riguarda l’assenza di una visione proattiva, orientata alla rigenerazione sociale ed economica. Non si tratta solo della formulazione contestata dell’“accompagnamento al declino”, ma del fatto che il piano sembra ignorare i numerosi esempi di territori che, pur partendo da condizioni difficili, sono riusciti a reinventarsi. L’esistenza di questi modelli virtuosi – molti dei quali raccontati da “CityNotizie”, “Cronaca Online” e Progetto Radici – smonta l’assunto di fondo secondo cui alcune aree sarebbero irrimediabilmente condannate alla decadenza. Il documento Rinnovare le radici, in particolare, presentato a Fabriano da ALI e sostenuto da Uncem, Upi e Svimez, propone una visione alternativa concreta: infrastrutturazione capillare, servizi essenziali garantiti, autonomia amministrativa e innovazione economica. L’idea è che si può vivere e prosperare anche nei borghi e nei piccoli centri, a patto che ci sia una regia politica coraggiosa e continuità negli investimenti. In Sardegna, ad esempio, la presidente Alessandra Todde ha adottato un approccio radicalmente diverso rispetto a quello nazionale: fondi per la natalità, incentivi alle PMI, potenziamento della governance locale, infrastrutture mirate. Un altro esempio viene dalla Sicilia, dove – come si legge nel documento Rinnovare le Radici – Open Fiber ha completato il Piano Banda Ultra Larga in 300 comuni, portando connettività ad alta velocità in zone tradizionalmente escluse dal digitale. Questo progetto, realizzato in collaborazione con Infratel e il Ministero delle Imprese, dimostra che anche le aree interne possono diventare laboratori di innovazione tecnologica, capaci di attrarre imprese, lavoratori da remoto e nuovi residenti. Sono risultati concreti, che migliorano la qualità della vita e creano le condizioni per un ritorno stabile delle popolazioni giovanili. Se questi modelli esistono e funzionano, la domanda diventa inevitabile: perché il PSNAI non li assume come riferimento? Perché non propone una politica espansiva per le aree a declino demografico, piuttosto che limitarsi a una gestione minimalista della loro decadenza? La risposta, secondo i critici, sta nella mancanza di volontà politica e nella tendenza a cercare soluzioni semplici per problemi complessi. Ma è proprio questo che il PSNAI dovrebbe evitare: diventare una ricetta standardizzata, incapace di valorizzare le differenze e di premiare le buone pratiche. I modelli virtuosi dimostrano che il rilancio è possibile e che le aree interne possono diventare parte della soluzione, non del problema. Serve però una politica che investa nei territori, che scommetta sulle persone e che smetta di considerare le comunità montane, collinari e rurali come costi da contenere. Invece di classificare i territori in base al loro tasso di sopravvivenza demografica, bisognerebbe considerarli per quello che rappresentano: pezzi fondamentali dell’identità nazionale, laboratori di resistenza e motori potenziali di un’Italia più coesa.
Nina Celli, 8 luglio 2025