Inquadrare le aree interne italiane come un’anomalia nazionale è un errore concettuale che oscura la realtà più ampia: quella di un’Europa che da anni affronta dinamiche demografiche simili in ampie porzioni del suo territorio. In Francia, nei Paesi nordici, nelle aree orientali della Germania e in vaste zone dell’Est Europa, il progressivo spopolamento di zone rurali e montane ha spinto i governi a formulare politiche differenziate, tarate sulla capacità reale dei territori di invertire la tendenza. In questo senso, il PSNAI 2021–2027 non è un atto isolato o improvvisato, ma si inserisce in un dibattito continentale maturo che accetta la complessità e rifiuta le soluzioni simboliche. Come spiega Filippo Stirati, ex sindaco di Gubbio e già capofila di un’area interna dell’Umbria, citato dalla “Cronaca Eugubina”, il vero dramma sarebbe fingere che tutti i territori siano recuperabili allo stesso modo. Stirati, pur critico nei confronti della formulazione dell’obiettivo 4 del PSNAI, riconosce che occorre una “nuova programmazione territoriale” capace di distinguere tra le diverse vocazioni, risorse e possibilità. In altri termini, una pianificazione realistica che rispecchi le condizioni materiali dei luoghi e non si fondi su una nostalgica idealizzazione della ruralità. Anche il documento Rinnovare le radici, discusso nel meeting nazionale delle Aree Interne e riportato da “CityNotizie”, parla di necessità di una governance territoriale più sofisticata, in grado di superare la discontinuità e l’improvvisazione del passato. Ciò implica anche una selettività negli interventi: investire dove ci sono margini di ripresa demografica e fornire invece strumenti di resilienza sociale e coesione dove la ripresa non è più plausibile. È una prospettiva europea, questa, condivisa anche dalla Svimez e ripresa in vari rapporti OCSE. Il PSNAI, in questo senso, rappresenta una forma di allineamento con le migliori pratiche di policy dell’Unione. È significativo che la proposta di “accompagnamento dignitoso” per i territori più fragili sia stata concepita come alternativa all’abbandono silenzioso: invece di sparire dalla mappa delle priorità pubbliche, queste aree vengono presidiate, dotate di una cornice di intervento sociale, sanitario e logistico minimo. Una scelta discutibile, forse, ma comunque preferibile all’assenza di strategia. In più, come evidenziato anche nell’analisi di “Basilicata24”, il problema non è solo nelle intenzioni dello Stato, ma nella capacità delle amministrazioni locali di attivare e usare le risorse disponibili: i fondi europei, il PNRR, le misure di coesione territoriale sono già oggi strumenti a disposizione dei territori, ma troppo spesso restano inutilizzati. Accusare il piano di “condannare i paesi alla morte” significa trascurare la vera questione: chi gestisce quei territori ha davvero la volontà e la capacità di rilanciarli? Il PSNAI non risponde a tutte le domande, ma ha il pregio di introdurre, forse per la prima volta, una categorizzazione dei territori fondata su evidenze e indicatori oggettivi, non su spinte emotive o pretese ideologiche. È una svolta culturale: guardare la realtà e cercare, con onestà e strumenti mirati, di agire secondo un principio di equità asimmetrica. Proprio come fanno, da anni, le democrazie europee più avanzate.
Nina Celli, 8 luglio 2025