L’articolo 3 della Costituzione stabilisce che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. È proprio questo principio, secondo molti amministratori locali e studiosi, a essere infranto dal PSNAI 2021–2027. Il documento, con la sua classificazione delle aree interne in base alla “recuperabilità” demografica e la previsione di un “accompagnamento al declino”, segna un cambio di paradigma che suona come una violazione dell’universalismo repubblicano. Come può uno Stato che si fonda sull’eguaglianza dichiarare esplicitamente che un quarto della sua popolazione – circa 13 milioni di persone che abitano in 4.000 comuni – non rientra più nel perimetro dello sviluppo possibile? Le critiche più forti sono arrivate da amministratori come Rosanna Repole, presidente della Città dell’Alta Irpinia, che in un’intervista riportata da “Ci Vuole Costanza” ha parlato di “tradimento grave delle aspettative dei territori” e ha annunciato una lettera al presidente della Repubblica, alla premier Meloni e al Ministro Foti per chiedere il ritiro o la revisione del piano. Anche Leo Barberio, segretario del PD in provincia di Crotone, ha parlato su “La Novità Online” di “una condanna scritta per decreto”, aggiungendo che dichiarare il 30% della popolazione calabrese come sacrificabile è un atto politico inaccettabile. Ma la critica non viene solo da ambienti progressisti: molti sindaci e rappresentanti istituzionali di varia estrazione hanno espresso allarme per un’impostazione che sancisce l’irrilevanza di intere porzioni del Paese. Il punto è che il PSNAI, così come formulato, opera una distinzione tra cittadini che “valgono” e altri che devono essere semplicemente assistiti fino alla loro scomparsa. Questa dinamica rompe l’equilibrio del patto costituzionale: l’idea che ogni territorio abbia pari dignità, pari diritto a servizi essenziali, pari possibilità di sviluppo. Ciò che viene messo in discussione, secondo i critici, è l’unità sostanziale della Repubblica. Non bastano, infatti, misure tampone o promesse di presidi minimi se si afferma, nero su bianco, che lo Stato non intende più investire nella rinascita di questi territori. Il risultato è un’Italia a doppia velocità, dove la politica stessa certifica la marginalizzazione di alcuni e l’investimento selettivo su altri. Filippo Stirati, ex sindaco di Gubbio e autore di un intervento molto critico su “Cronaca Eugubina”, definisce questa scelta “una pugnalata” alla visione unitaria del Paese. E aggiunge: “Se un Paese dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, rinuncia clamorosamente ad essere una Repubblica”. La critica non è solo emotiva, ma giuridica e, costituzionale. Il PSNAI, così com’è, appare a molti come un piano che rimuove territori dalla mappa della cittadinanza piena. Così, l’eguaglianza viene trasformata in statistica, i diritti diventano subordinati alla densità demografica o al potenziale economico e non siamo più nella Repubblica dei diritti, ma in quella delle quote, delle categorie, delle gerarchie. Un cambio di paradigma che, per molti, non può essere accettato.
Nina Celli, 8 luglio 2025