La frase che ha aperto la frattura nel dibattito nazionale è contenuta a pagina 45 del PSNAI 2021–2027: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza, ma nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. A detta di molti amministratori locali, opinionisti e studiosi, questa non è una mera constatazione tecnica, ma un atto politico che certifica l’abbandono programmato di milioni di cittadini italiani. “Il Fatto Quotidiano”, in un approfondito editoriale di Rocco Ciarmoli, parla esplicitamente di “eutanasia culturale”, di uno Stato che rinuncia alla sua funzione di garante della coesione nazionale e lascia che intere comunità si spengano in silenzio. Non si tratta solo di parole: dietro quella formula si intravede una logica contabile, quella che preferisce il taglio ai servizi essenziali piuttosto che il rilancio, che privilegia le aree urbane in crescita rispetto ai territori marginali e fragili. “Cuneodice.it” documenta la dura presa di posizione del gruppo consiliare “La Nostra Provincia”, che denuncia un messaggio devastante rivolto a oltre 13 milioni di italiani: “non sarete più destinatari di investimenti strategici”. La strategia che emerge non è di contenimento, ma di rassegnazione: si accetta che alcune porzioni del Paese debbano svuotarsi, invecchiare e morire. Si offre loro in cambio un welfare minimo, una “gestione del tramonto”. Il messaggio, secondo “Basilicata24”, è pericoloso: l’abbandono non viene più tollerato per incuria, ma addirittura programmato. Non è una questione semantica, è il segnale che lo Stato sta cambiando orizzonte, smettendo di vedere nei borghi e nei paesi una risorsa, per considerarli invece un fardello da accompagnare dolcemente all’estinzione. Questo approccio ha un effetto corrosivo: non solo disincentiva ogni tentativo di reazione dal basso, ma delegittima la presenza stessa di quelle comunità, relegandole a una dimensione marginale. Invece di interrogarsi su cosa serva per rilanciare le aree interne, lo Stato le osserva da lontano, come se la loro fine fosse una certezza già scritta. Ma la rassegnazione istituzionale ha un prezzo altissimo: genera disillusione, disgregazione e alimenta il sentimento di tradimento verso la Repubblica. È questo che denunciano le voci più critiche: non un errore tecnico, ma una scelta politica di rinuncia.
Nina Celli, 8 luglio 2025