Legalizzare la marijuana porta enormi benefici economici alla collettività

Benefici fiscali e occupazionali

In casi di congiunture economiche negative, le amministrazioni statali si trovano nella necessità di recuperare risorse e spesso ciò si traduce in tagli alla spesa pubblica per evitare di aumentare la tassazione sulle attività produttive.
In Italia le misure di austerità e di revisione della spesa hanno determinato provvedimenti come il blocco degli stipendi della pubblica amministrazione, l’aumento dell’età pensionabile e il taglio dei fondi destinati ai servizi e all’assistenza sanitaria.
L’approfondimento condotto dagli studiosi Mario Centorrino, Pietro David, Ferdinando Ofria, (Effetto cannabis sui conti pubblici, “Lavoce.info”, 21 marzo 2014) dimostra come la legalizzazione delle droghe leggere sia una delle misure in grado di produrre effetti benefici sui conti pubblici sia in termini di ritorno fiscale sia in termini occupazionali (quest’ultimo effetto però sarebbe verificabile solo sul lungo periodo). Lo studio è stato condotto secondo il modello costi-effetti-benefici. Si stimano così in circa due miliardi i risparmi ottenibili dalla riduzione dei costi attualmente sostenuti per polizia, magistratura e detenzione, e in otto miliardi i proventi della tassazione sulla vendita delle sostanze.
Per le stime, lo studio pubblicato sul sito “Lavoce.info” ha utilizzato il metodo indicato da Jeffrey Miron e Katherine Waldock (The budgetary impact of ending drug prohibition, pubblicato sul sito “The Cato Institute”, 27 settembre 2010).
Nello studio italiano si afferma che i benefici della fine del proibizionismo possono essere quantificati anche in termini sociali oltre che in termini economici. Classificando i benefici in due categorie, diretti ed indiretti, emerge il seguente quadro: “i benefici diretti sono sostanzialmente tre: 1) la riduzione delle spese statali impiegate per la proibizione dell’uso e della commercializzazione delle sostanze; 2) un maggiore gettito fiscale derivante dalla tassazione della produzione e della vendita delle droghe leggere; 3) l’emersione della produzione e delle transazioni effettuate nel mercato illegale degli stupefacenti, e pertanto la crescita quantitativa del Pil ufficiale” ( Effetto cannabis sui conti pubblici, cit.).
Per quanto riguarda i benefici indiretti invece essi “sono di due tipologie. I primi derivano da un utilizzo alternativo delle risorse liberate dalla legalizzazione: ad esempio, forze dell’ordine, magistratura e addetti al sistema carcerario possono concentrarsi su altri reati; i secondi sono legati all’aumento del benessere complessivo della collettività, come la maggiore informazione sulle sostanze acquistate, la segmentazione dei mercati delle droghe leggere e pesanti, i minori introiti per le organizzazioni criminali e i minori capitali disponibili per distorcere i mercati legali” (ibidem).

 

Benefici sociali e benefici economici

Bisogna sempre ricordare che l’obiettivo principale delle proposte antiproibizioniste è il contrasto della tossicodipendenza e non il risanamento dei conti pubblici. La ricerca di Marco Rossi (Il costo fiscale del proibizionismo: una simulazione contabile, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, settembre 2009, disponibile su “Encod.org”) pone come obiettivo la riduzione del consumo che non può essere sacrificato ai benefici economici, e riporta due soluzioni diverse per affrontare il problema, entrambe di natura economica: “la teoria economica suggerisce che un livello di consumo socialmente ottimale può essere ottenuto tramite due diversi strumenti: il primo consiste nell’imposizione di vincoli sulle massime quantità scambiabili, fino al divieto totale; il secondo nell’imposizione di una tassazione sulle vendite […] La regolamentazione italiana del mercato di alcune droghe (cannabis, cocaina, eroina, ecc.) consiste nel divieto della loro produzione e vendita, mentre il consumo di altre droghe (tabacco, alcol, ecc.) è scoraggiato tramite l’imposizione di elevate tasse sul loro prezzo di vendita”. Nello studio Marco Rossi quantifica anche i ricavi prodotti da un eventuale assetto antiproibizionista ipotizzando un sistema di regolamentazione e controllo simile a quello attualmente utilizzato per la produzione e la vendita di tabacco; Rossi stima che il mercato delle droghe leggere assicurerebbe alle casse dello Stato entrate per circa dieci miliardi di euro. Di questi circa due miliardi deriverebbero dai risparmi sui costi per l’applicazione delle norme proibizioniste (spese per polizia, magistratura, detenzione) mentre otto miliardi proverrebbero dalla tassazione sulla vendita delle sostanze (5,5 miliardi dalla cannabis). Da queste stime e dalla teoria economica favorevole a una forte tassazione della sostanza, emerge la possibilità di intraprendere la strada della vendita regolamentata di cannabis come strumento in grado di assicurare enormi benefici economici e al contempo un disincentivo al consumo.

Le ragioni del “perché no” alla legalizzazione

Il primo novembre 2011, la presidenza del Consiglio dei Ministri e il Dipartimento per le Politiche Antidroga pubblicano il rapporto Le ragioni del perché NO alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti, nel quale viene giudicata impraticabile la strada della legalizzazione in base a motivazione di ordine etico, sociale ed economico. L’obiezione economica (corrispondente al punto della sintesi delle evidenze che giustificano la non legalizzazione delle droghe) sostiene che: “i costi e l’apparato che servirebbe per gestire in maniera legalizzata la produzione, la distribuzione, i luoghi di somministrazione, di consumo ed il controllo sanitario delle sostanze legalizzate, oltre che il controllo e la repressione dei vari fenomeni di abuso e criminalità correlata, supererebbero di molto i supposti benefici attesi”. Mentre sul medio-lungo termine si assisterebbe a un “aumento dei costi degli apparati di controllo e repressione dedicati alle nuove forme di mercato illegale” (ibidem).
Il rapporto non considera legittimo distinguere la legalizzazione delle droghe leggere da una legalizzazione tout court. Infatti, se l’obiettivo è quello di abbattere il mercato illegale non si comprende il motivo per cui legalizzare la cannabis dovrebbe convincere le mafie ad astenersi dalla vendita di altri tipi di sostanze. Al contrario, l’effetto più probabile è che i gruppi criminali decidano di migliorare l’offerta di cocaina ed eroina (le più diffuse dopo la cannabis) nel tentativo di catturare nuovi clienti, offrendo una maggiore purezza e prezzi più accessibili:
“La legalizzazione delle sostanze viene spesso proposta in maniera differenziata per la cannabis e le altre sostanze quali la cocaina, l’eroina, le amfetamine ecc. ma alcune organizzazioni propongono di legalizzare contemporaneamente tutte le sostanze per essere, a loro dire, più incisivi sul mercato criminale. La legalizzazione della sola cannabis porterebbe comunque con se’ tutti gli effetti negativi relativi all’aumento della disponibilità sul territorio e del relativo consumo della sostanza senza peraltro incidere sui profitti delle mafie provenienti dai mercati alternativi delle altre sostanze” (ibidem). Appare chiaro, quindi, che l’unica soluzione razionale al fine di combattere l’illegalità è quella di una legalizzazione indiscriminata di tutte le sostanze: “la disponibilità legalizzata di sostanze stupefacenti, per essere teoricamente efficace, con l’obiettivo di abbattere gli introiti della mafie, dovrebbe essere garantita in maniera generalizzata a tutti coloro che ne volessero far uso indipendentemente dall’età, per impedire che, ove non si provvedesse in tal senso, i gruppi criminali anziché scomparire, si concentrassero alla fornitura di droghe ai soggetti esclusi dalla fornitura di Stato in quanto non ‘autorizzati’ a riceverle” (ibidem).

Dunque, se la vendita e l’acquisto di cannabis fossero legali, alcuni soggetti, come i minorenni, ne sarebbero comunque esclusi e finirebbero per subire ugualmente la pressione degli spacciatori, i quali, però, potrebbero rifornirsi tranquillamente in qualsiasi negozio autorizzato, senza più temere alcuna conseguenza. Dal punto di vista sociale il rischio è quello di fornire agli spacciatori una fonte di approvvigionamento legale, dal punto di vista economico il pericolo è quello di investire ingenti risorse, producendo debiti, senza scalfire minimamente la criminalità.
I costi di una simile operazione, inoltre, sarebbero enormi e supererebbero i benefici fiscali ottenuti dallo Stato: “Da un punto di vista tecnico-sanitario, per poterle rendere legali, le sostanze stupefacenti destinate a tutti i vari tipi di consumatori (occasionali, abitudinari o dipendenti) dovrebbero essere prodotte da industrie professionali che garantiscano le necessarie caratteristiche farmacologiche, di sicurezza, stabilità e purezza per uso umano, finanziate o direttamente gestite dallo stato. Questo implicherebbe un ulteriore struttura produttiva di alto livello tecnologico ed un costo che graverebbe sul bilancio dello stato e quindi dei contribuenti. I costi di questa operazione dovrebbero essere imputati alla quota di bilancio dedicata agli aspetti sanitari. Sarebbe inoltre necessaria una distribuzione di sostanze stupefacenti da parte di ‘dispensari’ (peraltro differenziati per sostanza) o ‘punti vendita controllata’ a soggetti dipendenti (e cioè con stato di malattia e quindi con necessità di cure) ma anche e soprattutto a semplici consumatori occasionali” (ibidem).

Illegalità, mercato nero e mercato “grigio”

Il problema non deriva soltanto dai costi necessari a sostenere le strutture autorizzate alla produzione e alla vendita, ma anche dall’enorme spesa necessaria allo scopo di prevenire la nascita del cosiddetto “mercato grigio” tramite un apparato di controllo dedicato che assorbirebbe ingenti risorse. L’articolo Marijuana, negli States è già business, di Marco Magrini (“L’Espresso”, 4 novembre 2013), riporta la storia di un imprenditore nel settore della marijuana medica e numerose dichiarazioni di avvocati, commercianti e persone attive nel business della marijuana. La minaccia sottolineata dagli intervistati proviene dalla possibilità per il mercato illegale di approvvigionarsi dal mercato legale della cannabis terapeutica. Il problema è causato dal fatto che: “la pot tax, come chiamano a Seattle l’imminente balzello sull’erba, si aggirerà fra il 75 e l’82 per cento” e il doppio regime fiscale che differenzia il prezzo della marijuana a fini ricreativi da quella a fini terapeutici rischia di alimentare fenomeni di illegalità: “non c’è dubbio che fra la marijuana tassata pesantemente al dettaglio e la marijuana medica quasi defiscalizzata, c’è spazio per un mercato grigio” (ibidem).

Sul medesimo problema interviene anche il rapporto della Presidenza del Consiglio (Le Ragioni del perché NO...cit): la legalizzazione di alcuni tipi di sostanze esigerebbe come contrappeso un apparato di controllo dai costi enormi: “per poter legalizzare i diversi tipi di sostanze e permettere così, in considerazione della loro pericolosità e potenziale criminogeno di rivendita non autorizzata, una distribuzione controllata e ben gestita (e non una ‘liberalizzazione’ in totale deregulation) sarebbe necessario costruire e mantenere un sistema statale organizzato e ben strutturato in grado di gestire la distribuzione di queste sostanze assicurando che non vengano abusate, comprate per essere rivendute, acquisite giornalmente dallo stesso cliente da un solo punto vendita e non da più punti creandosi una ‘scorta’, ecc. In ambito organizzativo quindi, legalizzare significherebbe sostenere i costi derivanti dall’attuazione di un gigantesco sistema statale di produzione, controllo, catena di custodia e distribuzione delle sostanze”