Quando Giorgia Meloni ha varcato la soglia di Palazzo Chigi nel 2022, ha portato con sé una promessa ambiziosa: far tornare l’Italia protagonista sulla scena internazionale. In effetti, il numero e l’intensità delle missioni estere, la capacità di imporsi nei consessi multilaterali e il rilancio del ruolo geopolitico dell’Italia hanno rappresentato, almeno sulla carta, una svolta. Ma se la quantità è fuori discussione, è la qualità della direzione scelta che solleva interrogativi. In particolare, la gestione ambigua del rapporto tra Unione Europea e Stati Uniti ha posto l’Italia in una posizione di crescente difficoltà strategica. Un’ambivalenza che rischia non solo di annacquare la visione italiana nel contesto europeo, ma anche di ridurre la sua influenza proprio nei momenti in cui la coesione tra i partner è più necessaria. Il momento simbolico di questa ambiguità si è manifestato nel marzo 2025, durante il vertice di Londra sull’Ucraina. Mentre leader europei come Emmanuel Macron e Keir Starmer ribadivano con forza il sostegno compatto dell’Europa a Kyiv, Giorgia Meloni appariva visibilmente in difficoltà. In un contesto segnato dalle tensioni tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e Donald Trump – con quest’ultimo incline a una linea più morbida verso la Russia – Meloni ha scelto di non schierarsi apertamente. Il suo appello all’unità tra Europa e USA è suonato più come un auspicio che come una posizione politica netta. In quel frangente, l’Italia ha perso l’opportunità di mostrarsi leader di una risposta strategica comune europea. La sua esitazione ha alimentato la percezione che Roma fosse più interessata a conservare la sua intesa privilegiata con Washington che a consolidare l’unità del fronte europeo. L’analisi del Carnegie Endowment sottolinea come Meloni abbia costruito una relazione diretta con Trump, partecipando alla sua seconda inaugurazione presidenziale e presentandosi come figura di collegamento privilegiato tra l’amministrazione americana e l’Europa. Ma la scommessa su questo doppio binario comporta rischi enormi. Non solo perché Trump rappresenta una visione politica apertamente ostile all’UE e ai meccanismi multilaterali, ma anche perché tale strategia mina la fiducia dei partner europei nei confronti di Roma. La presa di posizione pubblica di Macron, che ha auspicato “un’Italia forte accanto a Francia e Germania”, va letta proprio come un segnale d’allarme: la collocazione dell’Italia nei circuiti decisionali europei non può essere data per scontata. Sul piano pratico, l’ambiguità si traduce anche in difficoltà strutturali. Secondo i dati NATO, l’Italia nel 2024 ha investito solo l’1,49% del PIL in difesa, ben al di sotto del target del 2% richiesto dall’Alleanza e distante dagli impegni di Francia, Germania e Regno Unito. In un contesto geopolitico in cui Washington chiede maggiori contributi agli alleati, questa debolezza rischia di ridurre il margine di trattativa dell’Italia. E mentre la retorica di Meloni cerca di posizionare il Paese come “cerniera strategica” tra USA e UE, le risorse reali – economiche, diplomatiche, militari – rimangono modeste. Con un debito pubblico al 136% del PIL, una crescita stagnante (0,7% nel 2024) e una diplomazia sottofinanziata, l’Italia si presenta spesso come attore con grandi ambizioni ma mezzi limitati. Questa dissonanza tra aspirazioni e capacità si riflette anche nel campo simbolico. La figura di Meloni, spesso celebrata come icona della destra europea, è divenuta popolare tra i circoli conservatori americani, ma rischia di apparire isolata in Europa. Mentre la sua immagine cresce come “voce del radicalismo di governo”, come sottolinea l’Istituto Affari Internazionali, manca ancora una piattaforma solida che le consenta di guidare una coalizione europea. Il risultato è una strategia fluttuante, che oscilla tra spinte nazionaliste e necessità di legittimazione comunitaria. Questa ambiguità strategica tra Bruxelles e Washington non solo indebolisce la coerenza della politica estera italiana, ma mina anche la possibilità per l’Italia di diventare un riferimento stabile in Europa. Se Meloni non chiarirà la direzione del suo europeismo rischia di perdere il doppio ruolo a cui aspira: quello di alleato di peso per gli USA e di leader riconosciuto nell’Unione. In tempi di instabilità globale, l’equidistanza non è una virtù, ma un limite.
Nina Celli, 12 giugno 2025