Quando Giorgia Meloni ha assunto la guida del governo italiano nell’ottobre del 2022, pochi osservatori internazionali avrebbero previsto una trasformazione tanto rapida e profonda nella postura estera dell’Italia. Nel giro di poco più di due anni, il Paese ha riacquisito una centralità nelle dinamiche euro-atlantiche e globali che mancava da tempo. Al centro di questa evoluzione vi è una strategia coerente, fondata sull’idea che l’Italia possa e debba uscire dalla marginalità strategica e tornare a essere un attore attivo nei grandi snodi della diplomazia multilaterale, della sicurezza collettiva e della proiezione economica globale. Secondo una mappatura dettagliata dell’Institute of New Europe, la premier Meloni ha effettuato 100 missioni internazionali in appena 850 giorni di governo. Queste visite non sono state meramente protocollari: al contrario, hanno toccato centri di potere decisivi come Bruxelles, Washington, Tokyo, Abu Dhabi e New Delhi. Sono stati rafforzati i rapporti con Stati Uniti e NATO, con Meloni che ha visitato gli USA sette volte, diventando l’unico capo di governo europeo invitato all’inaugurazione del secondo mandato di Donald Trump. Allo stesso tempo, si è aperto un canale strutturato con l’Indo-Pacifico, dove l’Italia ha sottoscritto intese strategiche con India e Giappone, in particolare nel campo della difesa e dell’innovazione tecnologica. La partecipazione al programma GCAP, che porterà alla produzione di un caccia di sesta generazione, testimonia l’ambizione italiana di posizionarsi al centro delle filiere industriali più avanzate. Questa proiezione internazionale è stata accompagnata da una visione coerente della sicurezza collettiva. Meloni ha mantenuto l’impegno nei confronti dell’Ucraina, sia in ambito UE che NATO, assumendo il comando del battaglione alleato in Bulgaria e rafforzando la partecipazione italiana alla missione KFOR in Kosovo. Mark Rutte, nuovo segretario generale della NATO, ha definito l’Italia “un alleato saldo e affidabile”, riconoscendo il ruolo di Roma nel bilanciamento tra Est e Sud dell’Alleanza Atlantica. Parallelamente, l’Italia ha dato vita a una strategia di presenza nell’Indo-Pacifico che non ha precedenti nella sua storia recente. Le missioni navali – come quella della nave Morosini – e le intese con ASEAN e IORA indicano un salto di qualità nella capacità dell’Italia di dialogare con attori extra-europei su basi di parità e non solo come appendice dell’Occidente. Il Mediterraneo allargato è stato ridefinito come “porta di accesso” ai teatri globali, grazie anche al Piano Mattei: un piano di cooperazione con l’Africa del valore di oltre 5 miliardi di euro, centrato su energia, agricoltura e stabilizzazione politica. Gli esperti concordano nel ritenere che l’azione diplomatica italiana sotto la guida di Meloni si fondi su un “radicalismo pragmatico”, una formula che mescola fedeltà agli alleati tradizionali con una spinta verso l’autonomia strategica. Secondo il Carnegie Endowment, Meloni si propone come “voce europea a Washington”, ma senza abbandonare il vincolo comunitario. È una postura complessa, che implica equilibrio, ma che ha dato frutti concreti: l’Italia è tornata a sedere al tavolo dei grandi, con una visione coerente e un’agenda riconoscibile. Non mancano certo le sfide. Il vincolo del debito pubblico, la fragilità demografica, le tensioni politiche interne sono elementi che limitano la capacità di manovra. Ma proprio in questo quadro si coglie il valore della strategia estera di Meloni: non una fuga in avanti, ma un tentativo strutturato di proiettare l’Italia dove può contare di più, ossia nelle sfere dove diplomazia, sicurezza ed economia si intrecciano. La politica estera di Giorgia Meloni ha segnato una svolta nella tradizione italiana. Da osservatore passivo a protagonista multilivello, l’Italia è riuscita a inserirsi nei circuiti decisionali globali con una voce autonoma ma costruttiva. In un mondo attraversato da crisi e frammentazioni, la capacità di costruire ponti – tra Europa e USA, tra NATO e Indo-Pacifico, tra Nord e Sud globale – rappresenta una delle qualità più rilevanti della leadership italiana contemporanea. Se questa direzione sarà mantenuta, Roma potrà ambire a un ruolo sistemico che trascende il proprio peso economico, puntando sulla credibilità, sulla stabilità e sull’intelligenza strategica.
Nina Celli, 12 giugno 2025