In una società sempre più interconnessa, dove l’accesso all’informazione convive con nuove forme di censura e controllo, l’anonimato online si rivela un’arma indispensabile per chi lotta contro i poteri costituiti. Per attivisti, dissidenti politici e whistleblower, l’anonimato non è un vezzo digitale, ma uno scudo contro la repressione. Il caso più emblematico è quello del progetto Tor, la rete cifrata che protegge l’identità degli utenti attraverso il cosiddetto “onion routing”. Come ricostruito nella sua storia ufficiale, Tor è nato negli anni ’90 all’interno del Naval Research Laboratory degli Stati Uniti, ma è diventato uno strumento civile a tutti gli effetti a partire dagli anni 2000, quando l’Electronic Frontier Foundation ha cominciato a finanziare lo sviluppo del Tor Browser. Da allora, milioni di utenti in tutto il mondo – tra cui attivisti pro-democrazia, giornalisti in paesi autoritari, oppositori politici e vittime di censura – hanno usato la rete Tor per comunicare, diffondere documenti, organizzare proteste. Uno degli episodi chiave in cui Tor si è rivelato cruciale è stato durante la Primavera Araba del 2010-2011. In paesi come Egitto, Tunisia e Siria, l’accesso ai social network e ai siti indipendenti era bloccato. Tor ha permesso a molti attivisti di aggirare i firewall governativi e pubblicare video, foto e testimonianze sui social media, alimentando una narrazione alternativa a quella ufficiale. Come ricordano i documenti dell’organizzazione, "Tor non solo proteggeva le identità, ma consentiva l’accesso all’informazione come bene essenziale nei momenti di crisi". Anche in contesti democratici, l’anonimato è fondamentale per il whistleblowing. Il caso di Edward Snowden, ex consulente della NSA che ha rivelato l’esistenza di programmi di sorveglianza globale come PRISM e XKeyscore, ha segnato una svolta nel dibattito pubblico sulla privacy. Snowden ha usato Tor per contattare i giornalisti e condividere i file segreti. In un’intervista al Guardian, ha dichiarato: “Senza strumenti come Tor, non avrei potuto denunciare ciò che ho visto. Sarei stato rintracciato e messo a tacere prima ancora di cominciare”. Il contributo dell’anonimato alla libertà di stampa è stato ribadito anche da diverse organizzazioni internazionali. Reporters Without Borders considera Tor e altri strumenti di anonimato “fondamentali per la sicurezza dei giornalisti” nei regimi autoritari. Amnesty International, in una sua nota del 2024, ha scritto: “Il diritto all’anonimato digitale è una condizione necessaria per la libertà di espressione, specialmente in contesti repressivi.” Naturalmente, la protezione dell’identità non riguarda solo i “grandi casi” internazionali. Anche a livello locale, l’anonimato consente alle persone di denunciare abusi, discriminazioni o comportamenti illeciti senza esporsi a ritorsioni. Il sito BlockSurvey è un esempio di piattaforma che permette di raccogliere opinioni anonime in modo sicuro, grazie all’integrazione della blockchain. Secondo il fondatore Wilson Bright, "i sondaggi anonimi permettono alle persone di esprimersi davvero, senza paura". Tuttavia, proprio la possibilità di proteggere chi denuncia mette in crisi le piattaforme che richiedono identificazione obbligatoria. Come evidenzia la comunità di PrivacyGuides, in Svizzera si sta discutendo una legge che vieterebbe l’anonimato online, imponendo metadati obbligatori per VPN ed email. Proton, uno dei principali provider di servizi cifrati, ha minacciato di lasciare il Paese: “Senza anonimato, nessuno potrà più denunciare abusi o esercitare opposizione legittima.” L’anonimato è dunque un pilastro della libertà politica digitale. La sua rimozione, anche se motivata dalla sicurezza, rischia di produrre l’effetto opposto: un mondo dove le ingiustizie non vengono denunciate, perché nessuno può più parlare senza paura.
Nina Celli, 10 giugno 2025