Uno dei problemi strutturali più gravi dell’architettura USAID riguarda la sua limitata capacità di rafforzare in modo duraturo le istituzioni pubbliche locali. In molti casi, i progetti finanziati dall’agenzia si sono appoggiati a implementatori esterni – ONG internazionali, contractor privati, enti religiosi – che operano in parallelo ai governi, riducendo l’ownership nazionale e la possibilità di trasferire competenze sistemiche. Questa dinamica è stata osservata in diversi contesti. In Perù, ad esempio, la digitalizzazione dei dati sanitari è stata sostenuta da USAID ma gestita da contractor esterni, con impatti disomogenei e difficoltà a mantenere i sistemi attivati una volta conclusi i finanziamenti. In molti casi, le infrastrutture tecnologiche restano isolate, non integrate nei sistemi ministeriali e i funzionari locali non ricevono formazione sufficiente per gestire gli strumenti introdotti. Il problema è amplificato nei contesti ad alta fragilità. In Ucraina, pur con una significativa assistenza tecnica USAID, l’OCSE ha segnalato che i meccanismi di accountability fiscale sono ancora parziali e dipendono fortemente dalla presenza di consulenti esterni. La capacità di pianificazione autonoma delle istituzioni locali rimane bassa e la gestione dei fondi multilaterali avviene spesso tramite trust fund separati, non pienamente integrati nei sistemi nazionali. In Palestina, Siria, Iraq e Sudan, USAID ha adottato una strategia che privilegia ONG e soggetti esterni, bypassando le amministrazioni pubbliche per ragioni di sicurezza e rapidità. Tuttavia, questa scelta ha prodotto una vera e propria “economia parallela” dell’aiuto, in cui servizi essenziali (sanità, educazione, alimentazione) vengono gestiti da enti privati senza creare capacità durature nei ministeri e nei governi locali. Il risultato è un sistema dove gli impatti sono limitati nel tempo e fortemente dipendenti dalla presenza fisica e finanziaria di USAID. Quando i fondi si esauriscono o vengono sospesi, come accaduto nel 2025, le strutture collassano: ospedali restano senza forniture, sistemi informativi si interrompono e personale formato da ONG viene disperso. La continuità istituzionale viene messa a rischio, con ripercussioni dirette sulla resilienza dei servizi pubblici. La Global Costing Task Force (GCT), avviata da Brookings con il supporto USAID, ha rilevato che in molti Paesi non esistono sistemi nazionali in grado di gestire costi, proiezioni e dati sull’erogazione dei servizi. Le informazioni restano in mano ai donor o ai contractor, senza essere integrate nei bilanci pubblici. Questo limita la trasparenza, la capacità di pianificazione e la possibilità di accountability verso i cittadini. Secondo il rapporto dell’Office of Inspector General del 2025, solo una minima parte dei progetti USAID include componenti strutturate di trasferimento delle competenze. Molti programmi sanitari o educativi si concentrano sull’erogazione rapida, ma non prevedono moduli di capacity building o meccanismi per il passaggio di responsabilità alle autorità locali. In Kosovo, il trasferimento di progetti all’IFC è stato un caso virtuoso, ma resta un’eccezione più che una regola. Questo uso massiccio di subappaltatori e il turn-over dei partner esterni compromettono la memoria istituzionale. Anche nei contesti in cui si tenta di integrare i sistemi, la rotazione degli attori e la mancanza di archiviazione standardizzata ostacolano la replicabilità e il miglioramento continuo. L’approccio USAID, quindi, centrato su implementazione esterna e risultati a breve termine, tende a produrre “isole di eccellenza” che non si trasformano in sistemi nazionali. Senza un impegno più deciso nella costruzione di capacità pubbliche locali, l’agenzia rischia di rafforzare la dipendenza strutturale e di vanificare i propri obiettivi di sviluppo sostenibile e di scalabilità.
Nina Celli, 8 giugno 2025