Oltre all’impatto economico e sociale, il valore strategico di USAID si esprime nel suo ruolo come leva diplomatica e strumento di influenza geopolitica per gli Stati Uniti. In un mondo multipolare, dove la competizione per la leadership si gioca anche sul campo dell’assistenza allo sviluppo, la presenza USAID in contesti vulnerabili ha rappresentato una forma efficace di soft power. Lo evidenzia in modo netto un’analisi del Center for Strategic and International Studies (CSIS): il taglio di oltre 5.000 progetti USAID nel 2025, inclusi 211 in collaborazione con agenzie delle Nazioni Unite, ha ridotto drasticamente l’influenza diplomatica statunitense a livello multilaterale. La Cina, in parallelo, ha accelerato la sua presenza nelle sedi ONU, occupando spazi lasciati vacanti dagli Stati Uniti. Il ritiro USAID ha compromesso la guida statunitense in agenzie chiave come UNICEF e WFP, storicamente dirette da funzionari statunitensi. Il legame tra influenza geopolitica e aiuto allo sviluppo non è solo simbolico. Secondo CSIS, il budget di USAID in cooperazione con il sistema ONU rappresentava un asset cruciale per mantenere la capacità decisionale americana nei consessi multilaterali. Cancellare quei fondi ha significato rinunciare a centinaia di voti “di alleanza” da parte dei Paesi beneficiari, minando il peso relativo degli Stati Uniti su dossier globali come sanità, cambiamento climatico, diritti umani. L’impatto è stato percepito anche a livello regionale. In Palestina, Iraq e Siria, la sospensione di programmi USAID per stabilizzazione, ricostruzione e servizi sanitari di emergenza ha indebolito la presenza americana in zone strategiche, lasciando spazio all’espansione di potenze rivali. In Colombia e Venezuela, la riduzione degli aiuti ha ostacolato politiche migratorie e reso meno efficace la strategia americana contro il narcotraffico e le reti criminali transnazionali. Secondo un articolo pubblicato su “Foreign Policy” nel maggio 2025, la sospensione dei programmi umanitari USAID in Colombia ha avuto conseguenze dirette per decine di migliaia di migranti venezuelani, privati dell’accesso a cure mediche essenziali e servizi di base. La discontinuità degli interventi ha aumentato l’instabilità sociale nei territori di confine, compromettendo l'efficacia delle politiche migratorie statunitensi. A livello tecnico, USAID non si limita a fornire risorse: costruisce anche la capacità locale di gestione, con impatti misurabili sulla stabilità. In Ucraina, ad esempio, la presenza USAID è stata fondamentale per garantire la continuità delle istituzioni pubbliche e il coordinamento tra riforme fiscali, anticorruzione e pianificazione di investimenti esteri. L’OCSE sottolinea che, in assenza di tale supporto, molti strumenti multilaterali (es. trust fund della Banca Mondiale) non sarebbero stati attivati o non avrebbero raggiunto efficienza operativa. In ambito sanitario, la riduzione della presenza USAID ha creato vuoti operativi che hanno indebolito la capacità globale di risposta alle epidemie. In Zambia, i fondi USAID coprivano una quota significativa dei piani contro HIV, malaria e tubercolosi. La loro sospensione ha messo in discussione la resilienza sanitaria locale, aumentando il rischio di epidemie non controllate. L’OMS ha avvertito che anche brevi interruzioni nella somministrazione di antiretrovirali possono causare il ritorno di ceppi resistenti e compromissione delle reti di prevenzione. USAID, quindi, non è solo una leva per lo sviluppo, ma anche un asset strategico nella competizione globale per l’influenza politica e diplomatica. Ridimensionarla significa rinunciare a uno dei pochi strumenti a disposizione degli Stati Uniti per costruire alleanze stabili, promuovere valori democratici e garantire la sicurezza collettiva in aree chiave del mondo.
Nina Celli, 8 giugno 2025