Nonostante gli obiettivi dichiarati, una delle critiche più frequenti mosse a USAID riguarda la frammentazione operativa dei suoi programmi, che spesso impedisce l'effettivo raggiungimento di impatti sostenibili su scala nazionale. Diversi report internazionali e valutazioni indipendenti mostrano come i progetti finanziati da USAID tendano a essere discontinui, ridondanti e scollegati tra loro, con un forte turn-over di implementatori, poco coordinamento interistituzionale e risultati limitati nel tempo. La “Brookings Institution”, in un’analisi del maggio 2025, ha evidenziato che l’approccio a “progetti a termine” frammentati, spesso disegnati senza reali meccanismi di integrazione nei sistemi pubblici nazionali, produce effetti scarsamente duraturi. La campagna “Transformational Scaling”, nata proprio come risposta a questi limiti, denuncia decenni di aiuti spezzettati e non scalabili, dove le best practice restano confinate in contesti pilota senza diventare politiche pubbliche strutturali. Anche la revisione strategica promossa da USAID nel 2024 ha ammesso criticità interne: in molte missioni di cooperazione, i programmi mancano di una visione unificata, sono affidati a contractor con obiettivi divergenti e non sempre condividono dati, strumenti e metodologie. L’Office of Inspector General (OIG) ha più volte raccomandato l’adozione di sistemi interoperabili tra missioni, ma la lentezza nella digitalizzazione e nella governance dei dati ha ostacolato tali riforme. A livello di efficienza, il problema è amplificato dalla moltiplicazione dei livelli decisionali: Washington, missioni locali, implementatori, subappaltatori, ognuno con i propri standard di monitoraggio. Questo crea una “governance multilivello non coordinata” che rallenta l’azione e moltiplica le spese amministrative. In alcuni programmi sanitari, come quelli condotti in Uganda e Nigeria, è stato documentato che fino al 35% del budget è stato assorbito da spese generali di gestione. Nei contesti ad alta instabilità – Siria, Palestina, Etiopia – questa frammentazione ha avuto conseguenze dirette. Le missioni USAID spesso si affidano a ONG locali o internazionali con limitata capacità gestionale, e la mancanza di un quadro unificato ha causato doppioni, sovrapposizioni e conflitti tra operatori. Il rapporto trimestrale USAID sul Medio Oriente ha riportato casi in cui più implementatori lavoravano, senza saperlo, sugli stessi gruppi target, utilizzando approcci opposti. Il blocco imposto nel 2025 dall’amministrazione Trump ha esposto le vulnerabilità di questa architettura: in molti casi non è stato possibile valutare l’impatto dei progetti sospesi, perché non esistevano sistemi centralizzati di reporting aggiornato. In Ucraina, ad esempio, 27 premi sono stati cancellati senza una valutazione finale pubblicata; 11 sono stati riattivati, ma senza continuità metodologica né strumenti di monitoraggio integrati. La frammentazione ha anche compromesso la fiducia dei partner multilaterali. La Banca Mondiale, nell’allocazione dei fondi postbellici per l’Ucraina, ha espresso preoccupazione sull’allineamento dei criteri USAID rispetto ai sistemi nazionali. Anche l’OCSE ha chiesto maggiore integrazione tra donor, segnalando che la mancanza di armonizzazione nei modelli operativi riduce la capacità di attrarre investimenti privati in co-finanziamento. Nonostante la sua dimensione globale, quindi, USAID soffre ancora oggi di una struttura progettuale dispersiva, centrata su un modello a breve termine, poco orientato alla continuità istituzionale. Senza una profonda riforma della sua architettura operativa, l’agenzia rischia di diventare un “finanziatore episodico” anziché un partner di sviluppo sistemico.
Nina Celli, 8 giugno 2025