Uno degli aspetti più innovativi della strategia mediorientale di Donald Trump è stato l’impiego dell’economia come strumento di stabilizzazione geopolitica. Israele ha beneficiato direttamente di questa visione, posizionandosi come partner privilegiato in una rete di alleanze economiche che ha coinvolto paesi arabi un tempo ostili. Grazie alla diplomazia economica del presidente americano, Tel Aviv ha visto ampliarsi in modo significativo il proprio raggio d’azione commerciale, strategico e tecnologico. Gli Accordi di Abramo del 2020 – mediati dall’amministrazione Trump – hanno rappresentato il primo passo concreto di questa nuova era. Israele ha normalizzato le relazioni diplomatiche con Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan e Marocco, rompendo il tradizionale dogma della solidarietà araba subordinata alla questione palestinese. Secondo “NPR” e “Axios”, questi accordi hanno sbloccato miliardi in investimenti e scambi commerciali, con un impatto tangibile in settori come energia, turismo, tecnologia e difesa. Nel secondo mandato, Trump ha esteso questa strategia. Nei suoi viaggi tra Riyadh, Doha e Abu Dhabi nel 2025 ha firmato decine di accordi che coinvolgono anche imprese israeliane, in particolare nei settori dell’intelligenza artificiale, della cybersecurity e delle infrastrutture. Israele è entrato così in reti regionali fino a pochi anni prima impensabili, consolidando il proprio ruolo di hub tecnologico e innovativo del Levante. La proposta – sebbene controversa – di trasformare Gaza in una “freedom zone” è stata parte di questo disegno. Il piano prevedeva un intervento infrastrutturale statunitense per ricostruire la Striscia sotto supervisione americana, con l’ausilio di investitori del Golfo. Per Israele, questa proposta rappresentava una doppia opportunità: eliminare l’influenza di Hamas e favorire l’emersione di un’economia palestinese integrata, sotto condizioni favorevoli. L’idea ha suscitato resistenze, ma ha anche dimostrato la centralità che Israele ha assunto nel nuovo assetto economico regionale promosso da Trump. Dal punto di vista geopolitico, questo ha comportato un riallineamento silenzioso ma significativo di numerosi attori arabi. Il Qatar ha negoziato direttamente con Trump per la liberazione di ostaggi israeliani; l’Arabia Saudita ha manifestato disponibilità a cooperare su Gaza; persino Egitto e Giordania, pur mantenendo una posizione ufficialmente neutrale, hanno rafforzato le relazioni operative con Tel Aviv. Questo nuovo assetto ha ridotto l’isolamento israeliano e aumentato la sua capacità di influenza regionale. Un altro aspetto rilevante è la convergenza di interessi con i paesi del Golfo rispetto all’Iran. La minaccia comune rappresentata da Teheran ha reso Israele un alleato tattico e Trump ha saputo valorizzare questo elemento come base per un’alleanza securitaria, sostenuta da trasferimenti tecnologici e partnership economiche. Israele si è così trovato al centro di un blocco economico-politico regionale di contenimento dell’Iran, sostenuto attivamente dagli Stati Uniti. Questo approccio economico-diplomatico di Trump ha ampliato l’integrazione di Israele nel tessuto economico del Medio Oriente. Con alleanze commerciali, accesso a nuovi mercati e partecipazione a progetti transfrontalieri, Israele ha rafforzato la propria proiezione strategica, consolidando la sua posizione non solo come potenza militare, ma come attore economico imprescindibile nella regione.
Nina Celli, 28 maggio 2025