Donald Trump ha messo in atto un approccio inusuale ma sorprendentemente efficace: la diplomazia diretta e transazionale per la liberazione degli ostaggi. Questo modello, criticato da molti per la sua spregiudicatezza, si è rivelato per Israele una leva strategica concreta, capace di ottenere risultati laddove altri strumenti diplomatici hanno fallito. Il caso più emblematico è la liberazione del soldato israeliano-americano Edan Alexander, avvenuta a maggio 2025, ottenuta grazie a un’operazione condotta direttamente dagli Stati Uniti, senza il coinvolgimento del governo Netanyahu. Secondo le testate “Haaretz”, “Axios” e “NPR”, l’inviato di Trump, Steve Witkoff, ha negoziato l’accordo con Hamas attraverso un canale riservato a Doha, con il supporto del Qatar, aggirando così le complesse dinamiche della diplomazia multilaterale. Il risultato è stato duplice: non solo è stato liberato un ostaggio ritenuto irraggiungibile, ma si è anche generato un consenso ampio tra la popolazione israeliana. Come evidenziato da sondaggi pubblicati da “The Atlantic”, circa il 70% degli israeliani ha accolto con favore l’azione americana, vista come un’alternativa concreta al prolungamento indefinito delle operazioni militari a Gaza. Questa forma di “diplomazia degli ostaggi” non si è limitata a un gesto isolato. L’approccio diretto e non mediato di Trump ha aperto la possibilità per ulteriori negoziati, come dimostrato dalle dichiarazioni di Hamas e del Qatar, che hanno espresso apertura a nuovi scambi umanitari e a un potenziale cessate il fuoco. Trump si è posto così come l’unico leader occidentale capace di aprire un canale negoziale con un’organizzazione classificata come terroristica, senza che ciò minasse il sostegno interno o internazionale. L’efficacia del modello Trump si è manifestata anche nella gestione dell’opinione pubblica. Mentre i governi occidentali apparivano incagliati tra mediazioni infruttuose e dichiarazioni formali, Trump ha agito in tempi rapidi, con obiettivi chiari: salvare vite umane, mostrare leadership e ottenere risultati tangibili. Questo pragmatismo è stato apprezzato anche tra gli alleati mediorientali, in particolare da Qatar e Arabia Saudita, che hanno agevolato le operazioni, rafforzando indirettamente la posizione strategica di Israele nella regione. Inoltre, il gesto ha contribuito a migliorare temporaneamente l’immagine di Israele sul piano internazionale. Seppur mediata dagli USA, la liberazione di Alexander ha mostrato che anche in uno scenario di guerra è possibile una via negoziale e umanitaria. In un contesto in cui Israele è spesso percepito come parte dominante e aggressiva, la cooperazione in operazioni umanitarie ha rappresentato un’eccezione positiva, con benefici indiretti anche per la diplomazia israeliana. La strategia di Trump ha ridefinito le regole della diplomazia in guerra, offrendo a Israele un modello alternativo e concretamente vantaggioso. Lungi dall’essere solo una manovra elettorale, la sua diplomazia degli ostaggi si è rivelata un efficace strumento di politica estera, capace di salvare vite, rafforzare le alleanze e proiettare una nuova immagine di forza razionale e negoziale.
Nina Celli, 28 maggio 2025