Uno degli aspetti meno discussi, ma forse più insidiosi, del rapporto tra bioetica e ricerca scientifica è la sua potenziale strumentalizzazione politica. La bioetica nasce con l’obiettivo di proteggere i diritti dei soggetti coinvolti nella ricerca e promuovere una scienza equa, trasparente e giusta. Tuttavia, la sua applicazione concreta può talvolta essere deformata in chiave ideologica, diventando uno strumento di controllo o di rallentamento selettivo della ricerca, soprattutto in campi ad alta sensibilità pubblica come la vaccinologia, la genetica o l’intelligenza artificiale. In questi casi, il linguaggio della tutela etica viene impiegato non per garantire la sicurezza dei cittadini, ma per legittimare agende politiche, spesso ostili al progresso scientifico. Un esempio emblematico è offerto dalla proposta dell’amministrazione Kennedy Jr. di rendere obbligatori i trial placebo per ogni nuovo vaccino, riportata e criticata da “Unbiased Science” in un articolo del maggio 2025. L’iniziativa è presentata come una misura di “radicale trasparenza”, ma viene definita dalla comunità scientifica come “non scientifica, non etica e impossibile”. L’obbligo generalizzato di test con placebo ignora decenni di evidenze accumulate e contraddice i principi base della bioetica, come quello di equipoise (equilibrio tra i gruppi di studio) e di non maleficenza. Imporre un placebo laddove esiste già una cura efficace—come nel caso dei vaccini contro il morbillo o il COVID-19—sarebbe eticamente inaccettabile, perché comporterebbe la negazione deliberata di una protezione comprovata. In questo contesto, la bioetica smette di essere un argine agli abusi e diventa un pretesto normativo per limitare o rallentare l'approvazione di vaccini. Il rischio non è solo accademico, ma concreto: il prolungamento dei tempi di autorizzazione può causare ritardi nella somministrazione di terapie salvavita, come accadde nei primi mesi della pandemia COVID-19, quando alcuni paesi imposero doppie valutazioni etiche su farmaci già approvati da enti regolatori autorevoli. Christine Coughlin, esperta di Diritto sanitario e bioetica presso la Wake Forest University, ha definito questa strategia come una “dissoluzione lenta dell’infrastruttura vaccinale”, dove la trasparenza viene usata come arma retorica per generare sfiducia anziché chiarezza. La bioetica, in questa forma, viene distorta per impedire l’accesso a trattamenti che sono già stati ampiamente validati. L’effetto è doppio: si rallenta la scienza e si alimenta lo scetticismo pubblico, in una spirale che può minare profondamente la salute collettiva. Questa dinamica non è limitata al campo dei vaccini. Anche nel contesto dell’intelligenza artificiale, come dimostrato nella review pubblicata su “Journal of Clinical Medicine”, si osservano pressioni politiche volte a frenare l’adozione di strumenti predittivi nei sistemi sanitari pubblici, con il pretesto della “non trasparenza algoritmica”. In realtà, molti dei sistemi criticati sono già equipaggiati con strumenti di explainable AI (XAI), ma la retorica etica è utilizzata per giustificare moratorie, rallentamenti e limiti normativi che rispondono più a timori di perdita di controllo politico che a veri rischi clinici. Un altro esempio di strumentalizzazione ideologica dell’etica si riscontra nella ricerca biotecnologica. Tecnologie come il gene editing, pur essendo soggette a regolamentazioni internazionali, vengono bloccate o ritardate anche in assenza di prove di danni effettivi, spesso sulla base di “principi etici” generici ma non quantificati. In questi casi, l’etica funziona come uno scudo culturale, utilizzato da partiti o gruppi conservatori per ostacolare il progresso, senza affrontare nel merito i benefici potenziali delle innovazioni. Questi esempi mostrano che la bioetica, se non gestita con rigore e trasparenza, può essere piegata a interessi ideologici, rallentando la ricerca scientifica per finalità che nulla hanno a che fare con la tutela dei cittadini. La sfida, oggi, è duplice: da un lato, preservare il valore fondamentale dell’etica nella scienza, dall’altro, evitare che diventi uno strumento di controllo ideologico o politico. Un’etica usata per ostacolare la conoscenza è, in ultima analisi, una forma mascherata di censura.
Nina Celli, 24 maggio 2025