In un’epoca segnata da disinformazione virale, polarizzazione ideologica e sfiducia crescente verso le istituzioni, la bioetica rappresenta un pilastro imprescindibile per rafforzare la fiducia pubblica nella scienza. Non si tratta soltanto di un insieme di norme procedurali, ma di una vera e propria infrastruttura morale e comunicativa che consente alla società di riconoscere la ricerca scientifica come un’attività legittima, equa e al servizio del bene comune. Questo legame tra etica e fiducia emerge con forza nei lavori della Harvard Medical School Center for Bioethics. In un’audizione recente presso il Congresso degli Stati Uniti, il professor Aaron Kesselheim ha denunciato i rischi connessi al progressivo taglio dei fondi per la supervisione etica della ricerca, sottolineando che una scienza senza accountability etica rischia di compromettere l’accesso equo ai farmaci e alle innovazioni sanitarie. Kesselheim osserva che i pazienti non temono tanto la tecnologia, quanto l’opacità dei processi decisionali e l’assenza di organismi indipendenti in grado di valutare gli effetti collaterali, i conflitti d’interesse e la giustificazione morale di ciascun progetto scientifico. L’analisi pubblicata da “The Conversation” corrobora questa visione. Gli autori, tra cui le bioeticiste Christine Coughlin e Nancy M.P. King, spiegano che la legittimazione della scienza avviene non solo attraverso i risultati, ma anche—e soprattutto—attraverso la visibilità dei processi etici che li generano. L’implementazione di strumenti di supervisione indipendenti, come i comitati etici istituzionali (IRB), i protocolli di consenso informato e i registri pubblici di trasparenza, è ciò che permette alla comunità di fidarsi delle scoperte scientifiche anche in campi altamente sensibili come la sperimentazione clinica o la vaccinazione. La questione della fiducia è particolarmente evidente nei contesti di emergenza sanitaria. Durante la pandemia da COVID-19, la rapidità senza precedenti con cui sono stati sviluppati e approvati i vaccini ha sollevato dubbi e paure legittime. Tuttavia, la presenza di un processo etico trasparente—che includeva sperimentazioni randomizzate, pubblicazione dei dati, revisione da parte di enti indipendenti e monitoraggio post-commercializzazione—ha rappresentato un argine contro la disinformazione. I vaccini Pfizer e Moderna, per esempio, sono stati sottoposti a trial con placebo su decine di migliaia di soggetti, con supervisione etica multilivello e protocolli pubblici. È proprio questa struttura etica che ha permesso alle autorità sanitarie di comunicare con credibilità e di ottenere l’adesione della popolazione. Inoltre, la fiducia nella scienza non riguarda solo la popolazione generale, ma anche i medici, i ricercatori e gli operatori sanitari, che devono poter contare su standard chiari e condivisi. La revisione sistematica pubblicata su “Research Integrity and Peer Review” mostra che la presenza di regole etiche robuste migliora la qualità percepita della ricerca anche tra i professionisti, i quali sono più inclini a seguire protocolli e a partecipare a studi clinici quando le garanzie di integrità e trasparenza sono esplicite. Un altro esempio virtuoso viene dal sistema dei comitati etici in chirurgia. Il progetto OR Black Box, implementato in ospedali come il Toronto General e Stanford Hospital, ha dimostrato che l’uso di AI per monitorare gli errori intraoperatori è accettato e valorizzato dai chirurghi solo quando è inserito in un contesto etico chiaro, con protocolli di privacy, responsabilità condivisa e feedback costruttivo. La presenza di una cornice etica consente al personale medico di percepire l’innovazione non come una minaccia, ma come un supporto alla propria professionalità. Inoltre, è bene ricordare che la bioetica svolge anche una funzione simbolica e culturale: segna il confine tra scienza come servizio pubblico e scienza come interesse privato. In un’epoca in cui le grandi aziende tech e farmaceutiche giocano un ruolo sempre più centrale nella produzione di conoscenza, il presidio etico è ciò che consente di distinguere tra ricerca genuina e marketing travestito da scienza. Lungi quindi dall’essere un ostacolo, la bioetica è una condizione necessaria per rendere la scienza credibile, sostenibile e socialmente riconosciuta. Dove l’etica è assente o debole, la scienza diventa opaca, autoreferenziale e vulnerabile alla sfiducia. Dove l’etica è forte, la scienza diventa un bene comune, un linguaggio condiviso tra ricercatori e cittadini.
Nina Celli, 24 maggio 2025