Chi sostiene che la bioetica ostacoli il progresso scientifico ignora o sottovaluta le implicazioni devastanti che possono emergere quando la scienza opera senza vincoli etici chiari e operativi. La storia della medicina e della ricerca biomedica è costellata di episodi in cui l’assenza di supervisione ha prodotto gravi danni fisici, psicologici e sociali. È proprio in risposta a questi abusi che la bioetica si è sviluppata come campo autonomo e interdisciplinare, con l’obiettivo di prevenire la reiterazione di ingiustizie strutturali, tutelare la dignità dei soggetti coinvolti e garantire l’affidabilità sociale della scienza. Un esempio paradigmatico è il celebre studio di Tuskegee (1932–1972), nel quale a centinaia di uomini afroamericani affetti da sifilide fu deliberatamente negata la cura, anche quando era ormai disponibile, per osservare gli effetti della malattia non trattata. Lo studio proseguì per quarant’anni, e solo l’indignazione pubblica lo fermò. Questo episodio—spesso citato come l’evento fondante della bioetica moderna—ha dimostrato che l’assenza di un quadro etico normativo consente alla ricerca di disumanizzare i soggetti, trattandoli come meri oggetti di analisi. Oggi, gli stessi rischi si ripresentano sotto forme nuove, spesso più sottili ma altrettanto pericolose, soprattutto con l’introduzione di intelligenza artificiale e algoritmi decisionali nella pratica clinica. Secondo la recente review pubblicata sul “Journal of Clinical Medicine”, uno dei problemi maggiori nell’adozione dell’AI in chirurgia d’urgenza è rappresentato dalla scarsa rappresentatività dei dataset utilizzati per l’addestramento dei modelli. Molti algoritmi sono sviluppati su dati di pazienti bianchi, maschi, residenti in contesti ad alto reddito. Il risultato? Quando l’AI viene utilizzata su donne, minoranze etniche o pazienti vulnerabili, la probabilità di errore diagnostico aumenta sensibilmente, con conseguenze potenzialmente letali. Questo fenomeno ha un nome: “health data poverty”, ovvero la povertà strutturale di dati clinici su categorie sociali già svantaggiate. Senza una supervisione etica che imponga la validazione multicentrica e la diversità dei dataset, l’AI rischia di istituzionalizzare la discriminazione sanitaria, creando una medicina “di serie A” per alcuni e “di serie B” per altri. Ma i rischi non si fermano alla tecnologia. Il report su Research on policy mechanisms to address funding bias evidenzia come, in assenza di comitati etici attivi e indipendenti, le aziende private tendano a finanziare solo ricerche compatibili con i propri interessi commerciali. Questo crea una distorsione sistemica dell’agenda scientifica: patologie rare, terapie non brevettabili o interventi di prevenzione vengono trascurati perché poco redditizi, mentre le risorse si concentrano su settori ad alta marginalità economica. È un chiaro esempio di colonizzazione del sapere scientifico in cui, senza bioetica, il mercato impone le sue priorità a scapito del bene comune. Anche l’ambito della genetica e delle neuroscienze presenta scenari inquietanti. In mancanza di regolamentazioni etiche, tecnologie come il CRISPR potrebbero essere usate per fini eugenetici o per sviluppare “neuro-potenziali” in individui selezionati, generando nuove forme di disuguaglianza sociale e biologica. Gli standard bioetici, se ben applicati, non sono un freno all’innovazione, ma una barriera contro derive tecnocratiche e neocoloniali della scienza. Ma il danno sociale non si esaurisce nei laboratori. Quando la scienza opera senza etica, la fiducia pubblica crolla. La stessa diffusione del movimento no-vax è stata alimentata da sospetti (in parte reali, in parte strumentalizzati) sulla mancanza di trasparenza e supervisione dei trial clinici. La bioetica, con i suoi strumenti di accountability e partecipazione, è oggi più che mai una condizione necessaria per garantire l’adesione consapevole della società alla scienza. Eliminare o indebolire i presidi etici nella ricerca, quindi, non solo non accelera il progresso, ma rischia di renderlo miope, ingiusto e inaffidabile. La bioetica non è un ostacolo, ma un sistema immunitario della scienza: ne regola le spinte, ne corregge le deviazioni, e ne garantisce la sostenibilità sociale.
Nina Celli, 24 maggio 2025