In un’epoca in cui la velocità dell’innovazione scientifica può significare vite salvate, la bioetica — intesa come insieme di norme, comitati e linee guida a tutela dell’integrità della ricerca — rischia talvolta di trasformarsi da strumento di garanzia a ostacolo burocratico. Se da un lato la necessità di vigilanza è indubbia, dall’altro è sempre più evidente come l’iter etico di approvazione possa introdurre ritardi non trascurabili nello sviluppo e nell’applicazione della scienza, in particolare in ambiti ad alta urgenza come la chirurgia d’emergenza, l’intelligenza artificiale applicata alla salute e la ricerca clinica su larga scala. Uno dei casi più emblematici emerge dallo studio pubblicato sul “Journal of Clinical Medicine” (aprile 2025), che analizza l’integrazione dell’intelligenza artificiale nella chirurgia d’urgenza. Secondo gli autori, l’adozione di strumenti come il sistema POTTER—un algoritmo AI per predire esiti post-operatori—è ostacolata da lunghi iter approvativi etici e normativi. In un contesto in cui le decisioni devono essere prese in minuti, non in mesi, questa lentezza mina l’impatto potenziale della tecnologia. I chirurghi intervistati indicano come principali criticità la necessità di sottoporre ogni nuova modifica software ad approvazione da parte dei comitati etici locali, con tempi medi di revisione superiori ai 120 giorni lavorativi. Anche l’analisi svolta dal team di ricerca pubblicato su “BlockMinttech” evidenzia un problema simile, ma con uno sguardo più ampio: l’iper-regolamentazione, spesso di natura etica, può disincentivare le startup e i piccoli centri di ricerca dal proporre innovazioni radicali. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle tecnologie di frontiera come la genetica (es. CRISPR), dove i comitati etici impongono vincoli preventivi sulla sperimentazione che, pur giustificabili in termini di precauzione, tendono a soffocare il ciclo esplorativo della ricerca. La letteratura accademica analizzata nel report Research on policy mechanisms to address funding bias and conflicts of interest in biomedical research rafforza ulteriormente questa tesi. Il documento mostra come i comitati etici—nati per gestire i conflitti d’interesse—spendano gran parte delle loro risorse nella verifica delle dichiarazioni formali di trasparenza, spesso senza disporre degli strumenti per una valutazione sostanziale dei rischi. Si osserva quindi un paradosso: il sistema rallenta la ricerca ma non è necessariamente efficace nel proteggere l’integrità dei risultati. Non meno importante è l’effetto domino sui finanziamenti. Studi dell’“NIH” e articoli di commento come quelli pubblicati da “The Conversation” mostrano come ritardi etici possano far slittare o perdere completamente i fondi federali destinati alla ricerca, in particolare quando il periodo di eleggibilità è limitato. Per un laboratorio, un ritardo di sei mesi può equivalere alla perdita di un intero anno di attività e di pubblicazioni. L’esperienza riportata dalla Harvard Medical School sul tema dell’accesso ai farmaci mette in evidenza che, in alcuni casi, il tempo speso nella costruzione di un “consenso etico” può impedire di rispondere rapidamente a emergenze sanitarie reali, come pandemie o epidemie locali. È questo uno dei motivi per cui la comunità scientifica statunitense ha più volte chiesto una “snellezza etica”, ovvero la possibilità di attivare corsie preferenziali nei casi in cui il beneficio potenziale della ricerca superi il rischio calcolato. Pur riconoscendo la necessità di una regolamentazione etica per prevenire abusi, è ormai evidente che i meccanismi attuali non sono sempre ottimizzati. La bioetica, nella sua forma istituzionalizzata, sta imponendo ostacoli procedurali che rallentano il ciclo della scoperta scientifica e ne riducono l’impatto immediato sulla salute pubblica. La sfida del futuro sarà, dunque, non abolire l’etica, ma renderla più agile, flessibile e proporzionata ai contesti in cui opera.
Nina Celli, 24 maggio 2025