In un mondo segnato dall’erosione della fiducia, dalla frammentazione sociale e dalla polarizzazione politica, l’empatia è ciò che resta dell’umanesimo occidentale, l’ultimo argine contro la deriva del cinismo globale. Considerarla una debolezza significa dimenticare che è proprio grazie alla sua capacità di riconoscere l’altro, di immedesimarsi, di ascoltare senza giudicare, che l’Occidente ha costruito la sua forza morale, giuridica e culturale. È attraverso l’empatia che sono nati i movimenti per i diritti civili, le costituzioni democratiche, le politiche sociali. Lo ha dimostrato la ricerca neuroscientifica citata da Manfred Spitzer su “Avvenire”: l’empatia, profondamente radicata nella biologia umana, è la base del benessere individuale e collettivo, la matrice di ogni relazione autentica. Nelle società che ne sono carenti aumentano le patologie psichiche, il narcisismo, la solitudine, la disgregazione comunitaria. L’empatia non è solo emozione, ma intelligenza sociale, capacità di leggere la complessità del mondo attraverso lo sguardo dell’altro. È uno strumento cognitivo potente, come conferma lo studio pubblicato su “Social Cognitive and Affective Neuroscience”, che ha evidenziato come l’empatia influenzi anche i processi di giudizio e punizione: chi è empatico tende a modulare la propria reazione morale con maggiore flessibilità e umanità. In contesti politici sempre più autoritari, dove l’algoritmo prevale sulla coscienza, l’empatia rappresenta la capacità di rifiutare la semplificazione, di riconoscere le sfumature. Lo ha espresso con chiarezza Marina Berlusconi, in un’intervista citata su “Il Foglio”, quando ha indicato la compassione come uno dei tratti distintivi di una destra moderna e matura. Non è un caso che le culture più resilienti siano quelle che educano all’empatia sin dalla scuola: lo ribadisce l’OCSE, che nelle sue valutazioni pone l’empatia tra le competenze chiave del XXI secolo. Chi teme l’empatia la confonde con il sentimentalismo, ma questa visione è miope. Non si tratta di lasciarsi dominare dalle emozioni, ma di riconoscere che solo un’intelligenza che include l’altro può fondare un’etica pubblica davvero solida. In un tempo in cui l’identità è spesso brandita come arma, l’empatia è l’unico spazio possibile per la ricomposizione del conflitto senza annientamento dell’avversario. Come ricorda Vivian Gornick, l’empatia non è debolezza ma forza di chi ha superato la paura dell’altro e ha scelto di affrontare la complessità del mondo con apertura. In questa scelta risiede la vera superiorità della civiltà occidentale: non nel dominio, ma nella capacità di trasformare il dolore in dialogo, la vulnerabilità in comunità, la differenza in risorsa. Negare questo significa disconoscere ciò che ha fatto dell’Occidente un faro, nonostante le sue contraddizioni.
Nina Celli, 22 maggio 2025