Elon Musk, nel corso di un’intervista con Joe Rogan, ha definito l’empatia il “bug della civiltà occidentale”, un’affermazione apparentemente brutale che tuttavia racchiude una riflessione più ampia e complessa. Quando l’empatia diventa un riflesso automatico, un obbligo sociale, una reazione programmata, smette di essere una virtù morale per trasformarsi in uno strumento di controllo, manipolazione o autoillusione. In un’epoca in cui le emozioni sono moneta politica e simbolica, la cultura occidentale ha progressivamente sostituito il giudizio critico con la gratificazione affettiva, invertendo i ruoli tra etica e reazione emotiva. Michael Cameron, su “The Conversation”, ha denunciato questa dinamica parlando di una “guerra contro l’empatia” guidata dalla destra populista, ma nel suo stesso tentativo di difenderla, ammette che essa può essere “biologicamente distorta” e usata per sostenere ideologie discriminatorie. Di fatto, come ha scritto Michael Ventura sul “New York Times”, l’empatia affettiva, cioè quella che ci fa sentire il dolore altrui come nostro, può facilmente essere strumentalizzata da leader narcisisti, influencer ideologici o apparati mediatici per suscitare indignazione, polarizzazione e sentimentalismo senza responsabilità. In un contesto iperconnesso e ipermediatizzato, in cui la cultura del trauma e della vulnerabilità viene elevata a nuovo paradigma morale, l’empatia viene svuotata del suo valore critico e trasformata in uno strumento di disattivazione del pensiero. È il caso emblematico del conflitto tra Erika Christakis e gli studenti di Yale, narrato da José Maria Yulo su “The Imaginative Conservative”, dove la richiesta di rispetto si è trasformata in rifiuto del dialogo e della critica, con l’empatia che giustifica la censura più che la comprensione. Questa mutazione non è casuale: l’empatia così intesa crea legittimità morale a senso unico, divide il mondo in vittime e carnefici, premiando chi urla di più il proprio dolore. In tal modo, come scrive Spitzer su “Avvenire”, si arriva al paradosso di una cultura occidentale che smette di educare all’empatia vera perché la trasforma in spettacolo, in impulso narcisista, in reazione automatica incapace di distinguere il bene comune dall’autocelebrazione. La degenerazione dell’empatia nella retorica woke, nelle dinamiche social digitali, nei movimenti che sacralizzano il trauma e criminalizzano il dissenso, rivela un Occidente disarmato, che ha smarrito la capacità di reggere il conflitto e l’ambivalenza. In questo scenario, l’empatia non è più la premessa di una convivenza consapevole, ma un alibi emotivo per l’impotenza politica e il disarmo culturale. Se l’empatia diventa inviolabile, allora ogni critica è crudeltà, ogni dissenso è violenza, ogni ragionamento è insensibilità. E a quel punto, il pensiero libero non ha più spazio. È in questa dinamica che si rivela la sua vera debolezza: non perché ci renda più umani, ma perché ci impedisce di diventarlo fino in fondo.
Nina Celli, 22 maggio 2025