Nel dibattito sull'introduzione di una tassa sulla carne rossa, l'obiettivo ambientale è certamente nobile. Tuttavia, è impossibile ignorare una delle obiezioni più forti e più legittime che emergono con forza da economisti, sociologi e osservatori politici: una meat tax, se non attentamente calibrata, rischia di colpire duramente proprio le fasce più vulnerabili della popolazione, aggravando le disuguaglianze sociali anziché ridurle. Questo effetto è noto in economia come “effetto regressivo”: quando una tassa incide maggiormente sui redditi bassi, non in termini assoluti ma in termini percentuali. Le famiglie con redditi più bassi, infatti, destinano una quota molto più elevata del proprio bilancio all'acquisto di beni di prima necessità — e tra questi vi è la carne. Per molte persone, la carne non è un lusso, ma un alimento centrale nella dieta, facilmente reperibile, ricco di calorie e proteine e culturalmente radicato. Introdurre una tassa che ne alza artificialmente il prezzo significa, nei fatti, colpire la spesa alimentare quotidiana di milioni di persone con minori margini di scelta. Lo studio di Klenert et al. su “Nature Food” del 2023 lo ammette apertamente: una tassa sulla carne è, di base, leggermente regressiva. I ricercatori aggiungono che con meccanismi di redistribuzione (es. bonus alimentari, tagli su altri beni, incentivi plant-based) questa regressività può essere corretta, ma nella pratica la realizzazione di questi meccanismi è complessa e richiede un impegno politico e amministrativo non scontato. Le difficoltà sono molteplici: come si definiscono i criteri di accesso agli incentivi? Quali garanzie esistono affinché le famiglie più vulnerabili ricevano davvero le compensazioni? E soprattutto, come evitare che le misure di mitigazione diventino terreno fertile per burocrazia inefficiente o addirittura disuguaglianze mascherate da tecnicismi? La giustizia redistributiva, sulla carta, funziona. Ma nella realtà, spesso, inciampa nella complessità dei sistemi fiscali e amministrativi. Inoltre, a livello comunicativo, una tassa sulla carne può essere percepita come un’imposizione ideologica da parte di élite urbane e ambientaliste su stili di vita radicati nelle classi lavoratrici. In Francia, il movimento dei gilet gialli ha dimostrato con forza come una politica climatica, se mal calibrata, possa esplodere in una crisi sociale. Anche nel caso danese, dove il piano per alimenti plant-based è tra i più avanzati al mondo, non mancano tensioni. Come riportato da “The Guardian”, la proposta del Consiglio Etico Danese di tassare la carne ha scatenato proteste tra agricoltori e allevatori, che temono per la sopravvivenza economica delle proprie aziende. Inoltre, va considerato che i mercati alimentari sono interconnessi. Se si tassa la carne senza aumentare significativamente la disponibilità e l’accessibilità di alternative valide (sia sul piano nutrizionale che economico), il rischio è che i consumatori più poveri si rivolgano a soluzioni ancora peggiori: prodotti ultra-processati, ricchi di zuccheri e grassi, economicamente convenienti ma dannosi per la salute. In questo modo, la tassa sulla carne potrebbe finire per aggravare non solo le disuguaglianze economiche, ma anche quelle sanitarie. Infine, bisogna riconoscere il legame identitario che molte persone hanno con la carne. In molte culture, mangiare carne è un atto sociale, simbolico, intergenerazionale. Trasformarlo in un comportamento da penalizzare fiscalmente senza un percorso di mediazione culturale rischia di alimentare resistenze e conflitti, anziché promuovere un cambiamento consapevole e condiviso. Tassare la carne rossa per ragioni ambientali o sanitarie, dunque, è un’idea che, per quanto ben intenzionata, rischia di avere effetti profondamente iniqui se implementata in modo superficiale. Senza un robusto impianto di redistribuzione e senza una riflessione sulle implicazioni culturali e sociali della misura, si rischia di spingere ancora di più ai margini chi ha già meno potere di scelta, generando una nuova forma di disuguaglianza.
Nina Celli, 20 maggio 2025