Uno degli argomenti più frequentemente sollevati contro l’introduzione dell’assistenza sanitaria universale è l’elevato costo per il contribuente. Implementare un sistema di copertura pubblica per tutti significherebbe aumentare significativamente la spesa pubblica e, di conseguenza, anche le imposte. Il Congressional Budget Office (CBO), organo indipendente del Congresso statunitense, ha stimato che, nel primo anno di attuazione del piano “Medicare for All”, la spesa federale per l’assistenza sanitaria aumenterebbe da 1.500 miliardi di dollari a circa 3.000 miliardi, mentre nell’arco di dieci anni il costo complessivo varierebbe tra 32 e 41 trilioni di dollari. Questo rappresenterebbe una delle più grandi espansioni della spesa pubblica nella storia americana. I critici sottolineano che, sebbene il cittadino possa risparmiare in premi assicurativi, ticket e costi diretti, si ritroverebbe comunque a pagare di più sotto forma di tasse. Per alcuni, in particolare per chi già gode di buone coperture sanitarie, questo potrebbe equivalere a un aggravio economico senza vantaggi concreti. Vi è inoltre un rischio di spreco e inefficienza amministrativa: un sistema così vasto e centralizzato potrebbe soffrire di burocrazia e rigidità, rallentando le risposte ai bisogni sanitari e aumentando i costi gestionali. Anche se i sostenitori della riforma evidenziano risparmi amministrativi nel modello “single-payer”, gli oppositori ritengono che le proiezioni di risparmio siano ottimistiche e non considerino la complessità del sistema sanitario americano.