“Genocidio” è tra le parole più gravi, pesanti e giuridicamente cariche dell’intero vocabolario delle relazioni internazionali. Non è solo una definizione morale o politica: è un termine giuridico preciso, che implica l’intenzione deliberata di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Usarlo — e soprattutto, basare su di esso politiche ufficiali, sanzioni o rotture diplomatiche — richiede prove, processi e sentenze. E finché questo passaggio formale non è completato, l’Unione Europea non può legalmente agire sulla base di tale accusa. Nel gennaio 2024, il Sudafrica ha presentato un’istanza alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), accusando Israele di atti genocidari nella Striscia di Gaza. La Corte ha emesso misure provvisorie, raccomandando di evitare “atti potenzialmente genocidari” e garantire l’accesso agli aiuti. Ma, ad oggi, non ha emesso una sentenza definitiva che qualifichi giuridicamente l’offensiva come genocidio. Né la Corte Penale Internazionale (CPI) ha formalmente incriminato rappresentanti israeliani per tale accusa. In questo contesto, l’UE non può assumere una posizione ufficiale che anticipi i tribunali. Farlo significherebbe non solo compromettere la propria credibilità come attore normativo, ma anche aprire un precedente pericoloso: decidere politicamente ciò che deve essere accertato giuridicamente. Alcuni critici rispondono a questo che “l’evidenza morale è sufficiente”. Ma l’Unione Europea si fonda sul principio del Diritto. Le sue decisioni — soprattutto in politica estera e in materia di sanzioni — devono essere giustificate, difendibili e basate su criteri giuridici consolidati. Agire in assenza di questi presupposti non rafforzerebbe l’azione europea, ma la renderebbe vulnerabile a ricorsi, contestazioni e paralisi. Va inoltre ricordato che, in altri conflitti gravi (come in Siria, Yemen o Myanmar), la comunità internazionale ha impiegato anni per definire giuridicamente la natura dei crimini. In alcuni casi, la qualifica di genocidio non è mai arrivata. La prudenza dell’UE in questo caso non è un’eccezione: è una coerenza con la sua stessa storia diplomatica e giuridica. Inoltre, l’UE non è sola in questo approccio. Altri attori globali, come le Nazioni Unite, il Canada, l’India, la Corea del Sud, l’Unione Africana, non hanno ufficialmente parlato di genocidio, pur condannando le violazioni. Anche l’ONU, pur usando toni durissimi, ha finora evitato la definizione formale, in attesa dei tribunali. La responsabilità morale resta, ed è giusto discuterla. Ma le misure legali — come sanzioni, sospensioni di trattati o embargo — devono essere adottate in presenza di basi giuridiche certe. Altrimenti si rischia di trasformare il diritto in un’arma politica.
Nina Celli, 14 maggio 2025