Nel Diritto internazionale, esistono momenti in cui la neutralità diventa corresponsabilità. È il caso dell’Unione Europea di fronte alla crisi di Gaza, dove la scelta deliberata di non attivare sanzioni politiche, economiche o militari contro Israele ha contribuito a normalizzare una delle più gravi emergenze umanitarie del XXI secolo. A quasi due anni dall’inizio dell’offensiva israeliana, l’UE non ha mai attivato l’articolo 2 dell’Accordo di Associazione UE-Israele, che vincola esplicitamente il mantenimento delle relazioni bilaterali al rispetto dei diritti umani fondamentali. Nel frattempo, le immagini provenienti da Gaza raccontano una devastazione sistematica: oltre 50.000 morti, più di 1,9 milioni di sfollati, il 91% della popolazione in fame estrema, ospedali e scuole rasi al suolo. Eppure, a fronte di queste evidenze, l’Unione ha scelto la via della retorica diplomatica, affidandosi a dichiarazioni di “profonda preoccupazione” e richiami alla “moderazione”, senza mai adottare strumenti di pressione realmente incisivi. L’inerzia pesa non solo sul piano simbolico, ma geopolitico, della deterrenza e sul piano morale. Il mancato ricorso a sanzioni ha trasmesso un segnale chiaro: le azioni israeliane non comportano conseguenze rilevanti nei rapporti con l’Europa. Le parole più dure sono arrivate da figure istituzionali interne alla stessa Unione. L’ex Alto Rappresentante Josep Borrell ha parlato di una “pulizia etnica più ampia dal 1945”, denunciando che “metà delle bombe che cadono su Gaza sono europee”. In Parlamento Europeo, più di 100 deputati hanno chiesto formalmente l’introduzione di un embargo militare e la sospensione degli accordi. Ma la Commissione ha evitato il dibattito, nascondendosi dietro l’argomento della “mancanza di consenso unanime”. Nel report riservato pubblicato da “The Intercept”, si documenta come già a novembre 2024 un documento interno della Commissione suggerisse l’interruzione delle relazioni strategiche con Israele, proprio in base alla clausola dei diritti umani. Ma il rapporto è stato ignorato. Così, mentre la crisi si aggrava, l’Europa rimane bloccata in una diplomazia senza coraggio, scegliendo di non agire pur avendone gli strumenti legali e politici. Una non-decisione che ha avuto un impatto concreto: ha lasciato campo libero a Israele, ha privato la popolazione palestinese di un alleato forte sul piano giuridico e ha svuotato di significato i meccanismi europei di condizionamento esterno. In questo quadro, la mancata imposizione di sanzioni non è una semplice omissione, ma una scelta politica. E come tutte le scelte politiche, porta con sé delle responsabilità. In questo caso, la responsabilità di non aver fatto nulla per fermare l’inaccettabile.
Nina Celli, 14 maggio 2025