In un contesto in cui ogni dollaro investito nella sicurezza nazionale deve generare un ritorno tangibile — in informazioni, prevenzione o deterrenza — il progetto Stargate si rivela, con il senno di poi, una delle più clamorose distrazioni strategiche dell’era post-Vietnam. Sebbene i suoi promotori abbiano insistito a lungo sul basso costo del programma, la realtà è che Stargate non fu gratuito né privo di impatto sulle risorse allocate a settori più urgenti dell’intelligence. Stime tratte dai documenti CIA e confermate da fonti giornalistiche affidabili (tra cui “Popular Mechanics” e il libro Phenomena di Annie Jacobsen) indicano che Stargate ha ricevuto tra i 20 e i 25 milioni di dollari nel corso di circa 17 anni di attività. Questa cifra, pur modesta in termini assoluti, diventa significativa se si considera che fu investita senza un piano di dismissione chiaro, senza criteri trasparenti di successo, e senza prove ripetibili che giustificassero l’estensione del programma. Il rapporto finale della American Institutes for Research, commissionato direttamente dalla CIA nel 1995, sancì che Stargate non aveva prodotto alcuna “intelligence action-oriented”. Solo un numero marginale di sessioni (meno del 5%) conteneva dati che potevano, in teoria, essere utilizzati per avviare un'indagine — ma anche in quei casi, i risultati erano così generici da risultare indistinguibili da una congettura ben argomentata. Questa inefficienza fu ulteriormente aggravata dal fatto che, durante gli anni '80 e '90, l’intelligence americana doveva affrontare minacce concrete e urgenti: terrorismo mediorientale, traffico di droga, crollo dell’URSS, espansione delle tecnologie informatiche. In questo scenario, Stargate si comportava come un buco nero di risorse mentali e organizzative, assorbendo attenzione e legittimità da progetti realmente utili ma non abbastanza “esoterici” da attrarre sostegno politico. Secondo “War History Online”, numerosi analisti militari cominciarono a percepire Stargate come una “cattiva abitudine istituzionale”: una sorta di scommessa perpetua che nessuno voleva essere il primo a chiudere per timore di passare alla storia come “colui che ha interrotto il possibile salto evolutivo dell’intelligence”. In realtà, proprio questo ritardo nella dismissione — dovuto più a suggestione e inerzia burocratica che a risultati — costò tempo e capitale intellettuale che avrebbero potuto essere destinati a tecnologie emergenti, come la crittoanalisi post-quantistica o la sorveglianza satellitare. Un altro elemento da considerare è la dispersione di know-how. Stargate aveva richiesto l’addestramento di personale, la redazione di manuali, la creazione di database di immagini, mappe, obiettivi e risultati. Tutto questo materiale è oggi archiviato, ma non riutilizzabile: le tecniche non hanno prodotto evoluzioni successive, né sono state riprese da altre agenzie in modo sistematico. In pratica, Stargate ha generato un’enorme mole di lavoro che non ha avuto eredi né applicazioni collaterali. Persino tra i suoi difensori, come Joseph McMoneagle, si è fatto strada un certo disincanto. In un’intervista riportata da “Metro UK” (2025), egli stesso afferma che “gran parte delle sessioni erano esercizi mentali privi di riscontro”, ammettendo che il valore del programma fu “più personale che operativo”. Una dichiarazione che, letta in ottica strategica, suona come un’ammissione di fallimento.
Nina Celli, 6 aprile 2025