In un’epoca in cui la tecnologia satellitare era ancora agli albori e la Guerra Fredda imponeva alle nazioni una corsa all’innovazione in ogni ambito immaginabile, anche l’impensabile divenne terreno d’esplorazione. È in questo contesto che nacque e si sviluppò il progetto Stargate, un’iniziativa segreta condotta dalla CIA e dalla DIA per esplorare l’uso della visione remota — la presunta capacità di percepire informazioni a distanza, senza l’uso dei sensi convenzionali. Contrariamente a quanto si possa credere, questa non fu solo una deviazione esoterica all’interno della macchina militare americana. I documenti declassificati oggi disponibili nella “CIA Reading Room” (in particolare lo Stargate Project Overview) mostrano che alcuni esperimenti condotti nell’ambito del progetto fornirono risultati con un livello di accuratezza superiore alla casualità. Ad esempio, in test dove i partecipanti dovevano identificare caratteristiche di edifici, strutture militari o località geografiche usando soltanto coordinate, emersero dati sorprendenti. In più di un caso, le descrizioni fornite corrispondevano a elementi reali che il soggetto non avrebbe potuto conoscere, con margini di precisione ritenuti statisticamente rilevanti. A rafforzare l’apparente serietà del programma, fu redatto nel 1980 il cosiddetto Grill Flame Protocol, che delineava una serie di regole operative e standard di verifica. Non si trattava di improvvisazioni mistiche: le sessioni erano documentate, gli “osservatori remoti” venivano selezionati con criteri psicologici e addestrati con rigore. Ogni anno venivano inoltre condotte valutazioni sulle prestazioni dei partecipanti, e i report venivano archiviati e confrontati con eventi reali per valutare eventuali correlazioni. Parallelamente, il documento Research and Peer Review Plan dimostra che il programma aspirava a una forma di legittimazione scientifica. Si prevedeva infatti l’inclusione della peer review, cioè la revisione tra pari tipica della ricerca accademica. Benché tali pubblicazioni non abbiano mai raggiunto le principali riviste scientifiche, l’intento di aderire a standard di valutazione esterni rappresentava un elemento di apertura, raro nei progetti classificati. In alcune sessioni documentate — come quella ormai celebre in cui il “viewer 032” descrisse una reliquia somigliante all’Arca dell’Alleanza nascosta in un luogo mediorientale — le corrispondenze tra la narrazione psichica e fonti storiche lasciarono perplessi persino gli ufficiali incaricati. Sebbene ufficialmente liquidata come esercitazione, la CIA ne archiviò i risultati in un documento a parte, ora visionabile online (CIA-RDP96-00789R001300180002-7). Alcuni dei protagonisti del progetto, come Joseph McMoneagle, dichiararono anni dopo di aver contribuito al ritrovamento di aerei scomparsi, ostaggi in pericolo e installazioni militari sovietiche, e i loro report furono giudicati “operativamente validi” in una frazione non trascurabile di casi. È impossibile affermare con certezza che la visione remota funzioni nel senso stretto del termine, ma ciò che emerge dai dati declassificati è che qualcosa accadde: alcuni soggetti, in condizioni controllate, produssero informazioni compatibili con dati reali in modo statisticamente non casuale. Questo, unito alla strutturazione metodica del progetto, suggerisce che Stargate non fu solo una fantasia dell’intelligence americana, ma un esperimento a cavallo tra neuroscienze, intuizione e strategia, il cui valore, almeno in parte, merita di essere rivalutato.
Nina Celli, 6 aprile 2025