L’eventualità che gli Stati Uniti annettano la Groenlandia, anche in forma parziale o tramite un processo forzato, comporterebbe una serie di conseguenze gravi e multidimensionali sul piano economico, reputazionale e militare. Oltre alla violazione del diritto internazionale e ai rischi diplomatici già discussi, tale operazione potrebbe rappresentare un boomerang geopolitico con impatti duraturi sulla stabilità interna e sulle relazioni globali degli Stati Uniti. Uno dei principali miti legati all’annessione della Groenlandia è che si tratti di un’operazione economicamente vantaggiosa. Al contrario, la gestione integrata dell’isola comporterebbe costi elevatissimi per il bilancio federale. Secondo stime non ufficiali basate sulle proiezioni di spesa per territori americani d’oltremare, il solo aggiornamento infrastrutturale (porti, aeroporti, ospedali, strade, telecomunicazioni) richiederebbe oltre 100 miliardi di dollari in 10 anni. La Groenlandia è scarsamente popolata (circa 56.000 abitanti), ma il suo territorio è vastissimo (oltre 2 milioni di km²), isolato, climaticamente estremo e geologicamente instabile. Ogni intervento – dalla difesa all’educazione – avrebbe un rapporto costo/beneficio molto sfavorevole. Inoltre, l’annessione implicherebbe l’estensione dei servizi federali: sanità pubblica, sicurezza sociale, sistema giudiziario, istruzione – tutti da implementare o adattare a standard USA, con costi ricorrenti. Anche il solo mantenimento militare della base di Pituffik richiederebbe maggiori investimenti. In caso di annessione, gli Stati Uniti dovrebbero potenziare il dispositivo difensivo, allargando il perimetro di sicurezza artica e aumentando la presenza navale e aeronautica, in un contesto sempre più militarizzato a causa delle tensioni con Russia e Cina. Dal punto di vista reputazionale, l’immagine degli Stati Uniti come difensori della democrazia e della legalità internazionale verrebbe gravemente compromessa. La narrativa dell’eccezionalismo americano – storicamente fondata sulla promozione della libertà e del rispetto del diritto – perderebbe credibilità se Washington assumesse un comportamento considerato imperialista o neocoloniale. Questa percezione negativa potrebbe influenzare negativamente le relazioni con gli alleati europei e asiatici, i processi negoziali in ambiti multilaterali (clima, commercio, disarmo) e la posizione degli USA nelle organizzazioni internazionali (ONU, WTO, G20), dove il soft power è essenziale. Come osservato da esperti dell’“Atlantic Council”, l’annessione della Groenlandia “trasformerebbe gli USA da leader globale a potenza revisionista, in contraddizione con l’ordine che loro stessi hanno creato nel dopoguerra”. Un altro rischio critico è quello di una escalation militare regionale. La Russia ha già dichiarato che una militarizzazione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti verrebbe considerata come una minaccia diretta alla sua sicurezza artica. La Cina, attraverso progetti infrastrutturali e scientifici nell’Artico, ha già espresso preoccupazione per un eventuale “controllo esclusivo” dell’area da parte di Washington. L’annessione forzata potrebbe quindi provocare un aumento della presenza navale russa nel Mare di Barents e nel Mar di Groenlandia, nuove esercitazioni congiunte Cina-Russia nelle acque polari e un’accelerazione della corsa agli armamenti artici, con pericolose ripercussioni sulle strategie di deterrenza nucleare. All’interno della NATO, infine, un’azione unilaterale di annessione comprometterebbe la catena di comando integrata e potrebbe portare alcuni membri europei a riconsiderare il proprio impegno strategico con gli USA. Non va sottovalutato l’impatto politico interno. Un sondaggio pubblicato da “ABC News” nel marzo 2025 mostra che il 68% degli americani si oppone all’annessione della Groenlandia, considerandola una “distrazione costosa” rispetto a temi come inflazione, assistenza sanitaria e disuguaglianze economiche. Molti vedono la proposta come una trovata elettorale, ideata per distogliere l’attenzione dai problemi interni. Analisti del “Foreign Affairs” e dell’“Atlantic Council” avvertono che l’insistenza su questo progetto potrebbe polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica, dividere il Congresso tra fautori del realismo strategico e sostenitori del nazionalismo espansionista e intaccare la fiducia dei cittadini nelle priorità dell’amministrazione.
Nina Celli, 4 aprile 2025