L’idea che gli Stati Uniti possano estendere il proprio territorio attraverso accordi internazionali non è una novità. La storia americana è segnata da una serie di acquisizioni territoriali pacifiche e legalmente riconosciute, che costituiscono un precedente importante per valutare la legittimità di un’eventuale annessione della Groenlandia. Se ben gestita, con il consenso delle parti coinvolte, una simile operazione potrebbe rientrare nei canoni della legalità internazionale, evitando la violazione dei diritti di autodeterminazione. Uno dei casi storici più emblematici è l’acquisto dell’Alaska nel 1867, quando il Segretario di Stato William H. Seward concluse un trattato con l’Impero Russo per la cessione del vasto territorio nordamericano per 7,2 milioni di dollari. All’epoca, l’operazione fu derisa come “la follia di Seward”, ma oggi è considerata uno dei più importanti investimenti geopolitici degli Stati Uniti. Anche la Groenlandia, con le sue risorse naturali, la sua posizione strategica e il suo potenziale economico, potrebbe seguire un percorso simile, se supportata da un accordo multilaterale e da un chiaro mandato democratico. Un altro precedente utile è rappresentato dai “Compacts of Free Association” (COFA), accordi attraverso cui territori del Pacifico come le Isole Marshall, Palau e Stati Federati di Micronesia hanno ottenuto indipendenza parziale in cambio di cooperazione strategica con gli USA. Questi trattati garantiscono agli Stati Uniti il diritto esclusivo di difesa e basi militari nei territori associati, in cambio di assistenza economica, protezione e accesso preferenziale ai mercati americani. Uno scenario simile potrebbe essere concepito per la Groenlandia, con la creazione di un modello associativo ibrido, che ne preservi l’autonomia ma ne garantisca l’integrazione parziale. Anche il caso del Porto Rico offre spunti significativi. Pur non essendo uno Stato a pieno titolo, è un territorio non incorporato degli USA con un sistema fiscale, giudiziario e amministrativo ibrido. Sebbene il dibattito sull’indipendenza o statualità sia ancora aperto, l’esempio dimostra che esistono modalità intermedie per integrare nuovi territori senza violare la sovranità dei popoli. Il presidente Donald Trump ha più volte richiamato esplicitamente questi precedenti nei suoi discorsi: “Abbiamo acquistato territori prima. È parte della nostra storia. L’Alaska, le Hawaii, Porto Rico. Perché non la Groenlandia, se lo vogliono?”. Tuttavia, la questione centrale resta il consenso democratico. Ogni acquisizione territoriale deve fondarsi su tre pilastri giuridici: accordo formale tra le autorità sovrane (Danimarca e/o Groenlandia); Referendum popolare trasparente e certificato a livello internazionale; riconoscimento dell’ONU, secondo l’articolo 1.2 della Carta delle Nazioni Unite sul diritto all’autodeterminazione dei popoli. In assenza di coercizione e con partecipazione popolare verificata, il diritto internazionale non vieta l’adesione volontaria di un territorio a uno Stato esistente. In questo senso, l’annessione della Groenlandia potrebbe trasformarsi in un caso esemplare di transizione consensuale, simile a quanto avvenuto in passato con l’integrazione della Baviera nella Germania post-napoleonica o dell’Alberta nel Canada moderno. Analisti conservatori come Michael Hiltzik e consiglieri militari pro-Trump hanno suggerito che gli Stati Uniti potrebbero negoziare un’acquisizione graduale in più fasi, legando l’integrazione a risultati concreti in termini di sviluppo, infrastrutture e benessere locale. Questo approccio potrebbe mitigare le resistenze interne ed esterne, ponendo le basi per un processo “soft” e condiviso. Quindi, la legittimità di un’eventuale annessione della Groenlandia da parte degli USA non è impossibile sul piano giuridico, purché sia guidata da principi democratici, da un patto multilaterale e da un rispetto rigoroso delle norme internazionali. Gli Stati Uniti, in quanto potenza globale, hanno più da guadagnare nel presentarsi come artefici di un nuovo modello di integrazione consensuale, piuttosto che come promotori di una neocolonizzazione autoritaria.
Nina Celli, 4 aprile 2025