Le misure antitrust tutelano il consumatore e gli equilibri di mercato

Un fenomeno preoccupante

Le grandi aziende tecnologiche, grazie alle popolari piattaforme digitali di cui dispongono, hanno ormai assunto una posizione di gatekeeper del mercato digitale, regolandone accessi e norme. Se priva di controllo, tale situazione potrebbe portare ad abusi di potere a danno di aziende e consumatori, costituiendo “una lesione della concorrenza nel mercato e una minaccia alla democrazia” (Cfr. Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione, Rafforzare la disciplina Antitrust per limitare lo strapotere delle Big Tech: raccomandazioni dall’US House of Representatives, “irpa.eu”, 3 novembre 2020).
Le principali autorità antistrust a livello mondiale sono intervenute con fermezza comminando una serie di sanzioni pecuniarie significative.
Ciò soprattutto per evitare che le aziende controllino l’accesso al mercato e ne dettino le regole: “Dall’UE agli USA, dalla Corea al Giappone, passando per Cina e Australia: le violazioni del diritto alla concorrenza operate delle Big Tech, in modo particolare con gli App Store, sono nel mirino delle Autorità Antitrust di tutto il mondo. Gli effetti anticoncorrenziali delle grandi aziende digitali e le ripercussioni in termini di pratiche di esclusione, abuso di posizione dominante, fusioni e acquisizioni che alterano il libero gioco della concorrenza, sono infatti evidenti”, afferma la Legal Specialist e Data Protection Officer Barbara Calderini, esplicitando il pensiero di molti, anche ai vertici di grandi nazioni (Barbara Calderini, Big tech, quali alternative a un’antitrust ormai inadeguato, “agendadigitale.eu”, 18 ottobre 2022).

Dello stesso parere il giornalista del “Financial Times” Javier Espinoza: “I politici stanno cercando di fare ciò che è bene per i consumatori, perché quello che fanno le grandi aziende tecnologiche è anticoncorrenziale” (Javier Espinoza, How Big Tech lost the antitrust battle with Europe, “ft.com”, 21 marzo 2022).

DSA e DMA, i benefici per i consumatori

Con il Digital Markets Act (DMA), che mira a contrastare l’abuso di posizione dominante e pratiche sleali da parte delle Big Tech, e il Digital Service Act (DSM), che mira a creare un ambiente digitale sicuro, nonché a responsabilizzare le piattaforme per il loro operato, si stanno facendo notevoli passi avanti nella regolamentazione del mercato digitale: “Con il DSA contribuiamo a creare un ambiente on line sicuro e responsabile. Le piattaforme dovrebbero essere trasparenti sul come moderano i contenuti, dovrebbero essere in grado di impedire che la disinformazione diventi virale, e che prodotti non sicuri vengano offerti sui mercati […] garantiamo che le piattaforme siano ritenute responsabili per i rischi che i loro servizi possono rappresentare per la società e i cittadini”, ha affermato Margarethe Vestager.

Interviene in merito anche Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno: “Il DSA stabilisce obblighi chiari per le piattaforme, proporzionati alle dimensioni, all’impatto e al rischio […] Le istituzioni dell’UE hanno lavorato fianco a fianco a tempo di record, con determinazione e ambizione per proteggere i nostri cittadini online”.

Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è espressa a riguardo: “L’accordo […] sul DSA è storico. Le nostre nuove regole proteggeranno gli utenti online, garantiranno libertà di espressione e opportunità per le imprese. Ciò che è illegale offline dovrebbe essere illegale online. Maggiori sono le dimensioni, maggiori sono le responsabilità delle piattaforme online” (Nadia Giusti, Digital services act: molti vantaggi per utenti ed Europa, ma sarà una sfida attuare le nuove norme, “cybersecurity360.it”, 24 aprile 2022).

Sul piano pratico le nuove regole antitrust europee vietano alle piattaforme di mostrare con favore i propri servizi rispetto agli altri. Inoltre, regolamentano l’utilizzo dei dati raccolti dagli utenti e garantiscono interoperabilità tra i diversi servizi di messaggistica.

Il ruolo dell’Europa

La Commissione europea, con il Digital Markets Act, ha introdotto controlli sulle acquisizioni delle Big Tech, al fine di evitare che vengano eliminati concorrenti preziosi per garantire equilibrio sul mercato. In generale, si registra una limitazione notevole delle libertà di queste grandi aziende, soprattutto nell’utilizzo dei dati forniti dagli utenti ed è fondamentale anche un’adeguata informazione per questi colossi della tecnologia, per evitare di incappare, come in passato, in atteggiamenti distorsivi.

“Le grandi piattaforme dovranno capire come far fronte, prevedendo, in alcuni casi, anche nuovi diritti per i venditori terzi e gli utenti finali delle piattaforme, i cui diritti sono posti al centro delle normative” (Marina Rita Carbone, Antitrust e big tech, accelerano anche gli Usa: quali impatti delle norme, “agendadigitale.eu”, 6 aprile 2022).

In riferimento alla delicata questione dei dati personali degli utenti conferiti nelle piattaforme online, già nel 2021 James Surowiecki, noto giornalista del “The New Yorker”, riteneva fosse necessario un meccanismo di raccolta dati più consapevole: “Sfidare veramente il potere delle Big Four [Apple, Amazon, Google e Facebook] significherebbe ripensare al modo in cui i dati vengono raccolti e utilizzati dalle aziende e a chi vi ha accesso. Potrebbe significare richiedere che i dati siano condivisi, che gli algoritmi siano trasparenti e che i consumatori abbiano un maggiore controllo su ciò che condividono e ciò che non condividono” (James Surowiecki, What does breaking up Big Tech really mean?, “technologyreview.com”, 30 giugno 2021). Ciò, in definitiva, è quanto l’Europa si è prefissata varando il Digital Service Act.

Antitrust inadeguato

La continua crescita delle grandi aziende tecnologiche è la prova, oltre che del grado di inadeguatezza dell’impianto normativo antitrust in vigore, che la politica sanzionatoria non è in grado di scoraggiare le loro pratiche scorrette: “Le sanzioni dell’Antitrust contro i colossi digitali non bastano a contrastare le pratiche di concorrenza sleale adottate dalle grandi multinazionali tecnologiche americane e neppure intaccano le loro previsioni di guadagno. La percezione di un’inconsistenza della risposta sanzionatoria è invero piuttosto evidente così come sempre più evidente è l’inadeguatezza dell’attuale impianto normativo antitrust” (Barbara Calderini, Big tech, quali alternative a un’antitrust ormai inadeguato, “agendadigitale.eu”, 18 ottobre 2022).

Tuttavia, le misure antitrust adottate o in via di adozione dai legislatori di tutto il mondo sembrano non dare una risposta sufficiente alle posizioni di difesa sostenute dalle aziende coinvolte. Ne è un esempio la posizione di Apple, che nel contenzioso con il legislatore USA, che vuole imporle di aprire i suoi canali pubblicitari e di vendita online ai concorrenti, l’azienda risponde appellandosi proprio alla tutela dei consumatori. In particolare, l’interesse del consumatore “sarebbe messo in crisi dal fatto che mentre le marche Big Tech che vendono online sulle loro piattaforme i loro prodotti possono garantirne la qualità, anche e soprattutto sotto il profilo della protezione dei dati, la stessa cosa non potrebbe avvenire per prodotti venduti o pubblicizzati da altre marche che si avvalessero […] delle piattaforme Big Tech”.
Quindi, secondo Apple, aprire i propri canali di pubblicità e vendita online a terzi metterebbe a rischio la sicurezza dei clienti, poiché le piattaforme stesse non potrebbero garantire la qualità dei prodotti e la tutela dei dati personali; garanzie che possono invece dare per i propri prodotti (Franco Pizzetti, Big Tech, gli Usa pronti a “sacrificare” la concorrenza in nome della sovranità sul mercato: la svolta, “agendadigitale.eu”, 21 gennaio 2022).

Negli ultimi anni si sta assistendo a una sorta di caccia alle streghe a danno delle grandi aziende digitali: “siamo nel bel mezzo di un cambiamento radicale nella discussione intellettuale, che ha reso molto più facile perseguire Big Tech. In molti modi, sembra che stiamo tornando alla visione antitrust che ha determinato la politica degli Stati Uniti nei confronti delle grandi aziende per gran parte del 20° secolo, una visione che è molto più scettica sulle virtù delle dimensioni e molto più disposta ad essere aggressiva nel detenere le aziende dall'esercitare il potere monopolistico […] Anche in questo nuovo mondo, non è illegale avere un enorme successo costruendo la proverbiale trappola per topi migliore” (James Surowiecki, What does breaking up Big Tech really mean?, “technologyreview.com”, 30 giugno 2021).

Il politologo Alberto Mingardi sottolinea poi che tutta questa campagna antitrust contro i colossi del tech rischia di diventare stucchevole: “Sovrapporre questioni diverse (democrazia, privacy, fake news, eccetera) finisce per mascherare una politica tutto sommato prevedibile, le grandi imprese si meritano una mazzata perché sono grandi. Anche l'antitrust può essere populista” (Alberto Mingardi, Punire i Big Tech serve alla concorrenza?, “brunoleoni.it”, 29 agosto 2022).

Un peso incontrastabile

Le Big Tech hanno raggiunto una dimensione ormai difficilmente riducibile. Condizionano le scelte dei Paesi, le scelte degli utenti, il modo di vivere, monopolizzano Internet.
Non è dunque pensabile che le misure antitrust possano davvero mettere fine ad anni di dominio incontrastato. Le aziende in condizione di monopolio o oligopolio esercitano pressioni più o meno forti per ottenere accessi e per far approvare o non approvare determinate leggi.
Matt Schruers, presidente della Computer & Communications Industry Association, della quale fanno parte Facebook, Amazon e Google, ha accusato senza mezzi termini questo modo di fare antitrust, in riferimento al modello americano, da sempre molto interventista: “Scrivere regolamentazioni per una manciata di business vizierà la competizione e lascerà i consumatori in una situazione peggiore” (Marco Valsania, Camera Usa contro Big-Tech: 5 leggi antitrust per Amazon, Apple, Google e Fb, 12 giugno 2021).Dunque, si potrebbe agire ad esempio nel rendere i consumatori sempre più consapevoli dei rischi e dei loro diritti.

Bisogna spostare l’attenzione

Le norme antitrust sono pensate per tutelare il consumatore ma da più parti non mancano le critiche, considerato riduttivo e approssimativo in quanto l’attenzione si concentra soprattutto sui prezzi.
Secondo James Surowiecki, giornalista e saggista, non si terrebbe conto “di una gamma molto più ampia di possibili danni dall'esercizio del potere di mercato da parte delle aziende come danni ai fornitori, ai lavoratori, ai concorrenti, alla scelta dei clienti e anche al sistema politico nel suo complesso” (James Surowiecki, What does breaking up Big Tech really mean?, cit.).
Dunque, ad essere nel mirino sono anche i lavoratori e le stesse aziende, i fornitori che hanno a che fare con esse ma anche la politica che non può più agire scevra da condizionamenti. Continua il giornalista: “I benefici che la gente ottiene da queste aziende sono facili da mostrare, mentre i danni che stanno infliggendo agli utenti possono essere difficili, se non impossibili, da definire” (James Surowiecki, What does breaking up Big Tech really mean?, “technologyreview.com”, 30 giugno 2021).

Un buco nell’acqua

Dati alla mano, tuttavia, le molteplici sanzioni comminate alle Big Tech non hanno sortito gli effetti sperati, poiché esse mantengono intatte le proprie posizioni di forza, anzi si registra un incremento della loro potenza sul mercato.
Non è detto dunque che la legislazione antistrust sia la soluzione migliore per fronteggiare il problema. C’è un dato incontrovertibile però ed emerge chiaramente da un recente rapporto di 449 pagine, redatto dal comitato dem del sottocomitato Antitrust della Camera degli Usa. Da questo emerge, in estrema sintesi che: “Le più grandi società tecnologiche degli Stati Uniti hanno sfruttato la loro posizione dominante di mercato per eliminare la concorrenza e soffocare l’innovazione”. (“Investigation of competition in digital markets” “key4biz.it”, consultato l’11 novembre 2022). Si evince, quindi, che le big tech non sembrano al momento particolarmente preoccupate dalle azioni antitrust adottate nei diversi Paesi.

Inoltre, come si legge sulle pagine de “Il Foglio”, in un articolo dedicato al libro Ingovernabili. Grandi piattaforme, nuovi monopoli e la lotta per la concorrenza” (Luiss University Press, Roma, 2022) di Andrea Minuto Rizzo e Roberto Sommella: “Non è scontato che, tagliando le unghie alle big tech, non si finisca per consolidare l’attuale scenario di mercato e disincentivare l’innovazione tecnologica. Inoltre, la concorrenza in questo settore ha sempre meno l’aspetto di una gara per sottrarsi reciprocamente quote di mercato e sempre più la forma di una corsa a inventare nuovi mercati, che svuoteranno quelli vecchi” (Carlo Stagnaro, I colossi big tech sono “Ingovernabili”? Un libro utile analizza valori e rischi delle Gafa, “ilfoglio.it”, 27 agosto 2022).