Essere contro un disegno di legge sul suicidio medicalmente assistito non significa rassegnarsi al dolore. Esistono già altre soluzioni rispetto al suicidio assistito in grado di eliminare il dolore e di preservare la dignità come la rinuncia ai trattamenti e le cure palliative, che non procurano la morte, ma accompagnano durante il percorso di fine vita riducendo la sofferenza psichica e fisica (Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte, Comitato Nazionale per la Bioetica, 29 gennaio 2016). Grazie alla legge 219/2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e il consenso informato è possibile rinunciare o sospendere alcuni trattamenti di sostegno vitale. La sospensione e la rinuncia ai trattamenti sono volti a evitare di ledere la dignità della persona tramite trattamenti sproporzionati. Con la rinuncia, infatti, il paziente concorda preventivamente con il medico (tramite una pianificazione condivisa delle cure) a quali trattamenti non vorrà essere sottoposto in futuro (Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, Legge 15 marzo 2010, n. 38, “Normattiva”), mentre la sospensione è una scelta fatta dall’équipe medica sulla base delle volontà precedentemente espresse nelle disposizioni anticipate di trattamento (se presenti). Queste possibilità sono già reali e costituzionali, la Corte di Cassazione, infatti, ricorda che “Il rifiuto di terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso” (Ilaria Anna Colussi,Corte di Cassazione - sez. I civ. - Caso Englaro: interruzione dei trattamenti e incapacità, “Biodiritto”, 16 ottobre 2006).Una seconda possibilità già presente in Italia è la medicina palliativa, ossia “l’insieme dei trattamenti rivolti ai malati inguaribili al fine di migliorare la loro qualità della vita, riducendo il livello di sofferenza e dolore. Diversamente dalle altre branche della medicina, la medicina palliativa non è finalizzata a combattere la malattia: la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) la definisce una disciplina che ‘cura anche quando non si può guarire’. In quest’ambito si inserisce anche la terapia del dolore, che è l’insieme di terapie farmacologiche finalizzate alla soppressione ed al controllo del dolore” (Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte, Comitato Nazionale per la Bioetica, 29 gennaio 2016). Compito delle cure palliative, quindi, è proprio quello di farsi carico della sofferenza fisica e psichica del paziente per restituire una morte naturale ma al contempo dignitosa. Inoltre, Monsignor Vincenzo Paglia ha ricordato che le cure palliative “agiscono nel rispetto e nella promozione della dignità della persona, evitando scorciatoie che la mortificano, come i vari modi di sopprimere la vita, dall’assistenza al suicidio all’eutanasia” (Campagna contro l'eutanasia, Pro Vita: “Ecco i nostri manifesti choc”, “ilgazzettino.it”, 10 febbraio 2022).Tutte queste misure sono già state dichiarate costituzionali (Sentenza Corte costituzionale 2019/242), dunque ammissibili e lecite. Quindi, come ricorda Roberto Bagnasco (FI), “la legge sul biotestamento consente già di fare quasi tutto” (Resoconto dell’Assemblea della Camera dei deputati, Seduta n. 613 di lunedì 13 dicembre 2021).Cinzia Cogliati, 14 giugno 2022