Gestire le scorie radioattive significa costruire degli impianti di stoccaggio che restino isolati e inalterati per migliaia di anni, impianti che anche nella migliore delle ipotesi non possono essere abbandonati a loro stessi, ma dovranno continuare ad essere monitorati e manutenuti. Per le generazioni future sarebbe come se noi oggi ci trovassimo a gestire i rifiuti prodotti dagli antichi egizi. Oltre ad essere un debito che stiamo lasciando a chi ci succederà, si tratta di una sfida tutt’altro che semplice, quella di gestire i rifiuti nucleari. Come spiega l’AIN (Associazione Italiana Nucleare), una volta che il combustibile esausto si è raffreddato ci sono due possibilità: il condizionamento con conseguente stoccaggio, oppure il riciclo come nuovo combustibile. La prima strada è la più comune, essendo gran parte dei reattori commerciali esistenti inadatti al combustibile riciclato. Il condizionamento consiste nel separare il combustibile in base al livello di radioattività per isolare quello ad alta intensità e stoccarlo in matrici di cemento e contenitori multistrato sigillati. Questi contenitori passano prima dai depositi temporanei nei pressi dei reattori per poi raggiungere la destinazione finale nei siti geologici. Di siti geologici identificati ce ne sono davvero pochi, dal momento che la scelta di un sito centralizzato dove ogni Paese smaltisca i rifiuti nucleari è un processo lungo e complesso, che richiede oculate scelte tecniche e un deciso supporto politico e sociale all’infrastruttura. In Europa la prima a completarne la realizzazione sarà la Finlandia, nel 2024, con un deposito a lungo termine che si troverà a circa 500 metri di profondità sotto la città di Onkalo. L’alternativa al condizionamento sarebbe il riprocessamento, che sembrerebbe la via da preferire dato che, oltre a ridurre di molto la quantità e l’attività di rifiuti da smaltire, l’energia contenuta nel combustibile esausto è ancora molto elevata (oltre il 95% dell’energia iniziale). Nonostante ciò, solo una piccola parte dei reattori commerciali ad oggi impiegati sono in grado di riciclare combustibile, ma non per una limitazione tecnologica. Da una parte, infatti, l’abbondanza dell’uranio minerario ha reso questa tecnica svantaggiosa dal punto di vista economico, in più il riprocessamento suscita preoccupazione in merito alla proliferazione di materiale di potenziale uso bellico (uno dei prodotti del riprocessamento è il plutonio, che può essere utilizzato a scopi militari). Ad oggi esistono solo sette impianti di riprocessamento al mondo e il più grande di essi si trova in Francia, a La Hague, dove vengono lavorati anche parte dei rifiuti prodotti in Italia. Altri Paesi come la Russia e gli Stati Uniti hanno visioni differenti su questo tema, la prima ha come obiettivo per il 2030 riciclare tutte le scorie prodotte, mentre i secondi hanno deciso di puntare tutto sullo stoccaggio. Esistono anche altre ipotesi alternative al deposito centralizzato, come l’idea della Deep Isolation, ma per il momento si tratta ancora di ipotesi in cantiere ben lontane dall’essere realizzate (La gestione dei rifiuti nucleari, “Associazione italiana nucleare”, 20 dicembre 2020).
Arianna Armanetti - 13 aprile 2022