La gestione delle scorie radioattive può essere affrontata nello stesso modo con cui si affronta lo smaltimento di moltissimi altri tipi di rifiuti: con l’approccio del confinamento. Infatti, così come tanti materiali vengono stoccati nelle discariche, in attesa che i processi naturali facciano il loro corso, altrettanto si può fare con le scorie nucleari. Il rifiuto nucleare ha però una caratteristica speciale rispetto ad altri tipi di rifiuti: la sua pericolosità diminuisce con il trascorrere del tempo, fino ad esaurirsi raggiungendo i livelli dell’uranio presente in natura. A seconda dell’elemento considerato, questo intervallo di tempo può variare dalle poche ore alle decine di migliaia di anni. Oltre alla riduzione dell’attività radioattiva, a rendere gestibile lo stoccaggio dei rifiuti nucleari è il fatto che si tratta di una quantità ridotta di materiali. Secondo un inventario della IAEA (International Atomic Energy Agency), a livello globale fino al 2013 sono state prodotte circa 370 mila tonnellate di rifiuto ad alta attività e lunga emivita, di cui circa 120mila sono state riciclate. Ogni anno una centrale nucleare da 1GW di potenza produce 25-30 tonnellate di rifiuti radioattivi ad alta intensità. Per confronto, una centrale a carbone di pari potenza produce ogni anno 200mila tonnellate di ceneri, 200mila tonnellate di zolfo e 7 milioni di tonnellate di CO2 (La gestione dei rifiuti nucleari, “Associazione italiana nucleare”, 20 dicembre 2020). Come riporta “Geopop” “anche se l’intero mix energetico mondiale contasse solo sul nucleare, queste avrebbero le dimensioni di una lattina per persona, all’anno” (Luca Romano, La gestione di scorie nucleari e rifiuti radioattivi è possibile?, “geopop.it”, 6 gennaio 2022).
Occorre anche precisare che le scorie nucleari non sono il solo tipo di rifiuto radioattivo prodotto dai normali processi civili. Esistono, infatti, altri rifiuti, a radioattività meno intensa, provenienti da vari comparti industriali, che necessitano le stesse particolari attenzioni di smaltimento, anche se su tempi più brevi. L’Italia, in questo senso, è particolarmente arretrata: tutti i rifiuti radioattivi da noi prodotti, di qualunque intensità, sono stati finora gestiti da Francia e Regno Unito e il progetto, in cantiere da anni, di un Deposito Unico Nazionale è allo stallo. Un comportamento che ha poco di razionale, dato che “fino ad ora non si sono mai verificati casi di contaminazioni ambientali o di danni alla salute di persone dovute a scorie nucleari” (Ibidem).
Arianna Armanetti - 13 aprile 2022