L'attuale sistema di produzione condurrà all'estinzione della vita sulla terra

La fine della vita sulla Terra

“Stiamo abusando della Terra in una misura tale da indurla a ribellarsi e tornare alle elevate temperature in cui si trovava cinquantacinque milioni di anni fa; se ciò dovesse accadere, la maggior parte di noi e dei nostri discendenti andrà incontro alla propria fine” (James Lovelock, La rivolta di Gaia, Rizzoli, 2006, p. 11).

“Le ineluttabili forze di Gaia iniziano a schierarsi contro di noi. La battaglia verrà presto ingaggiata, e ciò che ci sta di fronte è di gran lunga più letale di qualsiasi blitzkrieg [guerra-lampo, NdR]. Modificando l'ambiente che ci circonda, abbiamo senza saperlo dichiarato guerra a Gaia. Abbiamo usurpato il naturale habitat delle altre specie esattamente nel modo in cui uno Stato invade proditoriamente il territorio di altre nazioni. Le prospettive sono tetre e, anche qualora agissimo con successo per migliorare le cose, giungeranno comunque tempi duri che ci metteranno alla prova fino al limite, come accade in tutte le guerre. Certo, siamo una genìa piuttosto resistente, e la catastrofe climatica non basterà forse a eliminare tutte le coppie di esseri umani in grado di procreare. Ciò che però è a serio rischio di scomparsa è la civiltà” (James Lovelock, La rivolta di Gaia, cit., pp. 20-21).
“Un'altra grande estinzione, la sesta, incombe su di noi innescata dal genere umano. La Terra ha ormai acquistato una forza capace di spezzare il crogiolo della biodiversità […]. Se un pericolo c'è nella traiettoria umana, non risiede tanto nella sopravvivenza della nostra specie, quanto nel concludersi dell'estrema beffa dell'evoluzione organica: proprio nel momento in cui raggiunge l'estrema comprensione di sé attraverso il pensiero dell'uomo, la vita condanna a morte le sue creature più belle” (Edward O. Wilson, The diversity of life, Harvard University Press, 1992, trad. it. Diego Maria Rossi, La diversità della vita. Per una nuova etica ecologica, Rizzoli, 1993, pp. 471-472).
“Il percorso intrapreso dall'uomo moderno non è al momento sostenibile, e uno qualsiasi dei 12 problemi sopra elencati basterebbe, da solo a modificare in peggio il nostro stile di vita dei prossimi cinquant'anni. Sono come bombe a orologeria, con un timer destinato a scattare in meno di mezzo secolo. Per esempio, la zona accessibile della foresta pluviale tropicale a bassa quota, fuori dai parchi nazionali, è stata completamente distrutta nella Malesia peninsulare […] a livello mondiale, la sua distruzione sarà completa nel giro dei prossimi 25 anni, forse con la sola eccezione di alcune parti del bacino amazzonico e del Congo. Se continuano i ritmi odierni di sfruttamento delle risorse del pianeta, tra alcuni decenni gli oceani saranno praticamente vuoti, avremo esaurito le riserve di petrolio e di gas naturale più pulite e accessibili e le piante non avranno sufficiente capacità fotosintetica. Si stima che nel giro di cinquant'anni la temperatura globale aumenterà di almeno un grado e che una grossa parte delle specie animali e di piante sarà a rischio o in via di estinzione […] Poiché stiamo procedendo a ritmi accelerati e insostenibili, i problemi ambientali del globo si risolveranno di certo, in un modo o nell'altro, nel corso della vita degli individui che sono oggi bambini o giovani adulti. Non sappiamo ancora se le soluzioni avverranno piacevolmente, in modi che abbiamo scelto noi, oppure in modi spiacevoli e sgraditi, quali la guerra, il genocidio, la morte per fame, le epidemie, il crollo della civiltà” (Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, 2005, pp. 504-505).

 

L'alternativa tra catastrofe e salvezza

 “Ci troviamo oggi ad un bivio: ma le due strade che ci si presentano non sono ambedue egualmente agevoli come quelle che Robert Frost ci descrive in una delle sue più note poesie. La via percorsa finora ci sembra facile, in apparenza: si tratta di una bellissima autostrada, sulla quale possiamo procedere ad elevata velocità ma che conduce ad un disastro. L'altra strada – che raramente ci decidiamo ad imboccare – offre l'ultima ed unica probabilità di raggiungere una meta che ci consenta di conservare l'integrità della terra” (Rachel Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, 1963, p. 282).

“Il mondo ha davanti non già un futuro preordinato, ma una scelta. La scelta è tra differenti modelli mentali, che conducono necessariamente a scenari differenti. Un modello mentale sostiene che questo mondo, ai fini pratici, non ha limiti. Se scegliamo questo modello, saremo incoraggiati a proseguire sulla strada di sempre, e l'economia umana si spingerà ancora più avanti al di là dei limiti. Il risultato sarà il collasso” (Donella Meadows, Dennis Meadows, Jorgen Randers, Limits to growth. The 30-years update, Chelsea Green Publishing Company, 2004, trad. it. Maurizio Ricucci, I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori, 2006, pp. 332-333).

“Se saremo abbastanza folli da perseverare nelle nostre attività inquinanti, è probabile che possa verificarsi il collasso finale” (James Lovelock, La rivolta di Gaia, cit., p. 93)

 

Il punto di non ritorno

“Vi sono parecchie ragioni per ritenere che il nostro viaggio nel futuro non sarà una liscia navigazione, e per pensare che ci siano in agguato una o più soglie o punti di ribaltamento. Johnatan Gregory e i suoi colleghi della Reading University hanno riferito nel 2004 che se le temperature aumenteranno di 2,7° C, la coltre glaciale della Groenlandia non sarà più stabile, e continuerà a sciogliersi fino a scomparire in gran parte, anche nel caso in cui le temperature dovessero ridiscendere sotto la soglia. Richard Betts e Peter Cox, ricercatori dell'Hadley Center, giungono alla conclusione che un aumento della temperatura a livello globale di 4° C sia sufficiente a destabilizzare le foreste pluviali tropicali e far sì che esse, come i ghiacciai della Groenlandia, scompaiano per essere sostituiti da boscaglia o deserto. Se ciò accadesse, la Terra perderebbe un altro meccanismo di raffreddamento, e la rapidità di aumento delle temperature aumenterebbe ulteriormente. […] La parte sensibile del Sistema Terra è costituita dall'oceano: se esso si riscalda, l'areale marino che permette la crescita delle alghe tende a ridursi e a spostarsi in prossimità dei poli, fino a che la crescita algale cessa del tutto. La discontinuità si verifica in quanto le alghe dell'oceano [...] assimilano anidride carbonica […]. La soglia per il collasso delle alghe è pari a 500 parti per milione (ppm) di anidride carbonica, circa la stessa quantità che occorre per innescare lo scioglimento irreversibile dei ghiacci della Groenlandia. Ai nostri attuali tassi di crescita raggiungeremo 500 ppm in quarant'anni. Il monitoraggio attualmente in corso di tutte queste parti cruciali del Sistema Terra – Groenlandia, Antartide, le foreste dell'Amazzonia e gli Oceani Atlantico e Pacifico – mostra un trend verso ciò che sulla nostra scala temporale potrebbe essere una variazione irreversibile e fatale. Anzi, il redattore scientifico del quotidiano 'Independent', Steve Connor, il 16 Settembre 2005 ha riferito le affermazioni di numerosi climatologi che avevano riscontrato una fusione dei ghiacci dell'Artico così rapida da far pensare che un punto di ribaltamento fosse già stato superato. Per quanto letale sia il processo, quando attraverseremo la soglia del cambiamento climatico può essere che nulla di percettibile segni il passaggio cruciale, nulla che avverta del superamento di quel punto di non ritorno” (James Lovelock, La rivolta di Gaia, cit., pp. 74-76).

 

Disastri imprevedibili

“Ritengo necessario ripetere che la temperatura in regolare aumento di cui si parla nel terzo rapporto IPCC mostra un cambiamento medio stimato del clima globale, ma ciò che non mostra sono gli estremi imprevedibili, fra cui le tempeste di grande intensità. Dovremmo pertanto attenderci cambiamenti climatici di tipo completamente inusitato, eventi straordinari che potrebbero abbattersi in ogni regione” (James Lovelock, La rivolta di Gaia, cit., p. 87).

 

La popolazione umana e la sua impronta ecologica

“Il problema demografico di gran lunga più grave per il mondo nel suo complesso non è l'alto tasso di crescita della popolazione […] ma piuttosto l'incremento complessivo dell'impatto umano sull'ambiente, dovuto all'aumento degli standard di vita nei paesi poveri e al fatto che molti individui di questi paesi emigrino in quelli ricchi e ne adottino lo stile di vita. Ci sono molti 'ottimisti' che ritengono che il mondo potrebbe sostenere anche il doppio dell'odierna popolazione, tenendo conto soltanto della crescita demografica e senza prendere in considerazione l'aumento medio pro capite dell'impatto ambientale. Ma qui non si tratta del doppio: se tutti gli abitanti del Terzo Mondo adottassero gli standard di vita del Primo, secondo calcoli attendibili, l'impatto ambientale aumenterebbe di ben 12 volte. Se solo i cinesi raggiungessero standard di vita occidentali, e se nient'altro cambiasse nel mondo, l'impatto ambientale globale raddoppierebbe. Le popolazioni del Terzo Mondo aspirano a una vita migliore […] Nessuno, però, vuole dire esplicitamente che quel sogno è irrealizzabile: un mondo in cui l'enorme popolazione dei paesi del Terzo Mondo raggiungesse e mantenesse gli standard di vita tipici del Primo sarebbe insostenibile” giacché ciò implicherebbe “uno sfruttamento eccessivo delle risorse del pianeta [che] mini alle fondamenta la possibilità stessa di una vita migliore” (Jared Diamond, Collasso..., cit., pp. 501-503).

 

Nessuna catastrofe in vista

 Chi critica l'ambientalismo tende solitamente a condividerne gli scopi, ma a rivalutarne le drastiche previsioni per il futuro: ad esempio Patrick Moore, fra i fondatori del movimento Greenpeace, nel suo L'ambientalista ragionevole del 2011, cita il rapporto di un'associazione di scienziati che negano la realtà e la gravità del surriscaldamento globale: “Il NIPCC [Nongovernmental Panel on Climate Change, NdR] ha pubblicato nel 2009 un'esaustiva critica scientifica alle scoperte dell'IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change, NdR], intitolato Climate Change Reconsidered. Questo rapporto, firmato da oltre trentunmila scienziati americani, concludeva: 'non sussistono evidenze scientifiche convincenti per dire che l'emissione umana di biossido di carbonio, metano e altri gas serra stia causando, o causerà in un futuro prevedibile, un catastrofico riscaldamento dell'atmosfera e uno scombussolamento del clima terrestre'” (Patrick Moore, Confessions of a Greenpeace dropout, Beatty Street Publishing, 2010, trad. it. Giuseppe Gallo, L'ambientalista ragionevole. Confessioni di un fuoriuscito da Greenpeace, Dalai Editore, 2011) e nega che la previsione secondo la quale un incontrollato aumento demografico porterebbe ad una rapida estinzione di massa: “Ci sono buoni motivi per ritenere ottimisticamente che, se anche la popolazione umana crescesse, sarà possibile conservare la maggior parte delle altre specie che dividono la Terra con noi” (Patrick Moore, L'ambientalista ragionevole..., cit., p. 391).

 

Cattiva informazione

 I detrattori dell'ambientalismo lamentano la situazione a livello dell'informazione veicolata dai media: “cercate su Internet 'estinzione di massa', e troverete centinaia di siti che vi diranno che ci troviamo nel bel mezzo della sesta grande estinzione, dal momento che gli umani spingono tante più specie all'oblio di quanto non sia mai avvenuto in tutte le altre epoche dalla scomparsa dei dinosauri. Questi siti web sostengono che 50.000 specie rischiano ogni anno di estinguersi e che la metà di tutte le specie della Terra sarà andata perduta prima della fine del nuovo secolo. E non si tratta del risultato dell'impatto di un asteroide o di massicce eruzioni vulcaniche. No, è il nostro tipo di vita, lamentano […]. Un lettore inesperto penserà che è vero” (Patrick Moore, L'ambientalista ragionevole..., cit., p. 392); “Si dice che il riscaldamento terrestre provochi alluvioni e siccità ma nessuno dice che tutto questo causa solo lo 0,06 per cento delle vittime dei paesi in via di sviluppo”, sottoscrive Bjørn Lomborg, l'autore de L'ambientalista scettico. Non è vero che Terra è in pericolo (Mondadori, 2003). Questi, in un'intervista rilasciata a Leone Grotti per il settimanale “Tempi”, affermava: “Secondo Al Gore il mondo finirà in modo apocalittico per colpa del global warming. Basta guardare il trailer del suo film, Una scomoda verità: alluvioni, catastrofi a ripetizione, terre sommerse dalle acque. Se gli effetti fossero davvero questi, faremmo bene a preoccuparci. Peccato che quel film sia incredibilmente stupido [...].
L’informazione racconta solo una parte della storia e spesso la esagera pure. Io nel film [Cool it, 2010], come nell’omonimo libro, dico che il global warming è un problema, che ha effetti positivi e negativi, soprattutto negativi, e per questo ce ne occupiamo, ma non è la fine del mondo” (Leone Grotti, Sei contro l’ideologia del global warming? "Sei come Hitler". Intervista a Bjørn Lomborg, “Tempi”, 29 giugno 2012).
“Perché siamo così stranamente concentrati sui cambiamenti climatici quando ci sono molti altri ambiti in cui esistono grandi bisogni e potremmo fare davvero tanto con i nostri sforzi? Al Gore cita due ragioni. La prima è che il clima è un'emergenza planetaria: 'in gioco ci sono la sopravvivenza della nostra civiltà e la vivibilità della Terra'. Eppure, ciò è lontano dalla verità: come abbiamo già visto, non è questo che la scienza afferma a proposito dell'aumento di temperature in questo secolo. Semmai, ci dice che il caldo un po' più intenso farà sì che muoiano meno persone” (Bjørn Lomborg, Cool it. The Skeptical Environmentalist's Guide to Global Warming, Knopf Publishing Group, 2007, trad. it. Maria Cristina Bitti, Stiamo freschi. Perché non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale, Mondadori, 2008, pp. 49-50).